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Caso D&G-Cina, hackeraggio o eccesso sui social: le conseguenze

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gli aspetti legali

Caso D&G-Cina, hackeraggio o eccesso sui social: le conseguenze

«L’account è stato hackerato. Quello di Stefano Gabbana anche. I nostri legali stanno indagando», recita l’account ufficiale di Dolce&Gabbana su Instagram in merito all’affaire che ha portato alla cancellazione del mega show da 20 milioni di euro a Shanghai e alla chiusura del lor sito di eCommerce oltre la Grande Muraglia. Intanto decine di migliaia di utenti in tutto il mondo (Cina, ovviamente, in testa) che non credono all’hackeraggio, commentano i post dicendosi offesi e chiedendo delle scuse.

Le conseguenze legali ci sono in entrambi i casi: «L’hackeraggio è fenomeno sempre più diffuso e sottovalutato. Comporta problemi sanzionatori, legati innanzitutto al Gdpr che stabilisce sanzioni fino al 4% del fatturato del gruppo che non garantisce sufficiente protezione dei dati, ma soprattutto reputazionali e d’immagine» spiegano dallo studio legale Rödl & Partner. Se spesso l’hacker è in grado di sparire nel nulla, le tracce, però, rimangono: «L’attività di hacking lascia delle tracce che possono dimostrare la sussistenza dell'attività malevola» precisano da Rödl & Partner. Offrendo anche uno spunto di riflessione: «Cosa stanno facendo le aziende per fronteggiare gli attacchi cyber e data breach, alla luce dei danni reputazionali ed economici che questi comportano? Come si stanno tutelando dalle importanti sanzioni determinate dal Gdpr e dalla normativa Nis?».

In cosa può incorrere, invece, chi si lascia andare a commenti offensivi o eccessivi sui social? «A prescindere dalla qualificazione del fatto, rimane sempre la possibilità per il danneggiato di agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno eventualmente patito - chiosano dallo studio - e la legge Mancino punisce le espressioni che rivelino la volontà di discriminare la vittima in ragione della sua appartenenza etnica o razziale».

Da non dimenticare, in un caso come quello di Dolce&Gabbana, il tema del danno al brand. «Per il consumatore medio, la società e la persona fisica rappresentano la stessa cosa, sia in termini positivi che negativi. Per tale ragione la divulgazione di tali conversazioni private potrebbe arrecare un danno maggiore all'azienda che al suo fondatore», confermano da Rödl & Partner.

Nella versione ridotta di questo articolo pubblicata sul Sole 24 Ore di oggi c’è un’informazione inesatta, relativa alla depenalizzazione del reato di diffamazione. L’abbiamo corretta in questa versione, ampliata. Ci scusiamo con i lettori.

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