Al fenomeno delle invenzioni nate in garage, o capanni, si dovrebbe prima o poi dedicare più che uno studio, un’enciclopedia. Dopo Bill Gates e Steve Jobs, i ragazzi di Google e un giovane Jeff Bezos alle prese con gli impacchettamenti di libri, si scopre che anche uno dei prodotti cosmetici più innovativi degli ultimi anni ha avuto quegli spazi natali. Era il 1989 quando nel capanno degli attrezzi di un verde giardino inglese, Mo Costantine inventava la prima “bomba da bagno” del suo marchio di cosmetica, Lush, partendo dalla formula dell’alka selzer: bicarbonato di sodio e acido citrico. Soltanto che, invece di far bene allo stomaco, la “bath bomb” voleva rendere più divertente, profumato, colorato, ecologico, il momento del bagno.
Alla prima, battezzata “Aqua Sizzler”, in questi 30 anni se ne sono aggiunte altre 75, che hanno spiccato un salto evolutivo quando la loro ideazione è passata nel 2012 nelle mani di Jack Costantine, figlio di Mo. Con lui Lush ha iniziato a usare la stampa 3d per produrre le bombe, che fino a quel momento erano solo sferiche e che da allora si sono arricchite di squame da sirena e facce di ninja, e sono diventate teiere, corone, uova di dinosauro, gattini e sushi, spesso mutlistrato e multicolore. I principi attivi non sono cambiati, come l’uso di olio essenziali del tutto naturali per profumarle, come il neroli, o di burri e polveri di alghe per renderle emollienti, tutte materie prime sostenibili e acquistate da piccoli produttori del mondo. Ma non sempre “naturale” vuol dire migliore: le scaglie brillanti di alcune bombe, per esempio, sono di mica sintetica, poiché quella naturale è spesso estratta da minori in condizioni di lavoro deplorevoli (come spiega questo report di Terre des Hommes).
La formula divertente e il messaggio etico delle bombe ne ha decretato il crescente successo: nell’anno record 2017 se ne sono vendute 38,7 milioni, e dal 2005 a oggi 220 milioni. Nella città di Poole, nel Dorset, Lush ha aperto uno stabilimento dove le bath bombs vengono fatte a mano, anche da 500 persone dedicate solo ad esse nella stagione di picco delle vendite, l’inverno. Sui social esistono gruppi di fan che postano video in cui provano le bombe e si scambiano pareri su ogni effetto di colore e profumazione.
E proprio a loro, ma non solo, è dedicata la mostra in corso (fino al 23 giugno) nello store Lush di Via del Corso a Roma, l’unico in Italia con un giardino interno, dove 30 anni di bombe sono raccontati fra le erbe aromatiche, insieme a (quasi) tutte le nuove 54 bombe lanciate per l’occasione. Fra le novità ci sono anche le prime “bombe da doccia”, attesa risposta alle richieste del sempre più numeroso popolo di chi non possiede una vasca da bagno, o vi ha rinunciato anche per amore di sostenibilità.
Lo stesso impegno ha portato Lush a rinunciare al ricco mercato beauty cinese, (che secondo National Bureau of Statistics of China nel 2017 ha registrato vendite per 251,4 miliardi di renmimbim, pari a circa 32 miliardi di euro, +87,6% dal 2012): la legislazione di Pechino, infatti, impone test sugli animali per ogni prodotto cosmetico prodotto al di fuori della Cina, obbligo che Lush non intende rispettare. Per questo, è presente solo a Hong Kong. Nonostante la lontananza dalla terra promessa dei consumi globali, Lush ha registrato ricavi in aumento a 525 milioni di sterline nell’anno fiscale terminato il 30 giugno 2018, in aumento del 5,4%. E chiudendo anche il mercato brasiliano, che non si è dimostrato profittevole.
Un altro volto dell’impegno di Lush, e più in particolare proprio di questo prodotto, sono le bombe create per sostenere campagne e progetti umanitari: le 45mila sterline raccolte nel 2008 dalle vendite della prima, “Guantanamo Garden”, sono state destinate al supporto della no profit Reprieve, per liberare dal carcere cubano il cittadino britannico Binyam Mohamed e il giornalista sudanese Sami Al Hajj. Nel 2016 è stata la volta della “Error 404”, per sostenere l’organizzazione Access Now contro i blocchi governativi di internet, poi nel 2017 della “Buy One Set One Free” ancora per Reprieve, stavolta per liberare l’attivista etiope Andy Tsege. L’anno scorso la tartarughina “Turtle Jelly Bomb” è stata lanciata per la Giornata mondiale degli oceani.
Tutte non hanno packaging, una scelta che Lush sta estendendo a sempre più prodotti, tanto da aprire il primo “Naked Shop” a Milano, in via Torino, mentre a Tokyo a novembre è stato inaugurato il primo negozio interamente dedicato alle bombe nell’eccentrico quartiere di Harajuku (al quale è stata ovviamente dedicata una nuova bomba, al profumo di canditi): lì Lush ha lanciato anche la sua prima app, #LushLabs, con cui si può scansionare il Qr code relativo a ogni bomba per lanciare un video in cui la si può vedere sciogliersi nell’acqua, colorandola, senza impiegare una goccia di vera acqua come invece accade durante le dimostrazioni negli altri negozi. I profumi non si possono sentire, per ora. Ma nei laboratori delle bombe, nate in un capanno, tutto può accadere.
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