Ci sono voluti quattro mesi per organizzare il grande evento in ricordo di Karl Lagerfeld, scomparso quattro mesi fa, il 19 febbraio, a Parigi a 85 anni, dopo una carriera nella moda che Wwd, il quotidiano americano della moda, ha giustamente definito “unprecedented” (unica e incomparabile, potremmo tradurre) . L’evento è stato preparato in gran segreto e si è poi svolto ieri a Parigi, dove sono in corso le sfilate maschili, ed è stato intitolato Karl For Ever. Quasi certamente gli sarebbe piaciuto. Perché il Grand Palais è da solo simbolo di grandeur e immortalità, ma anche perché tutto è stato organizzato con una specie di spumeggiante sobrietà che niente aveva delle celebrazioni postume. O posticce.
Lagerfeld detestava i funerali, lo disse apertamente a più riprese. Non è nota alcuna sua partecipazione a funerali di colleghi, amici, famigliari. Per sé aveva lasciato disposizioni precise: nessuna cerimonia pubblica e cremazione privatissima in luogo segreto. Forse non gli piacevano perché ai funerali non si possono invitare le persone: ci può andare chi vuole, in fondo. E Lagerfeld amava scegliersi interlocutori e persino ammiratori. Sapeva di essere diventato una figura quasi mitologica, da almeno vent’anni: sia perché nessuno prima di lui aveva fatto per tanto tempo il direttore creativo di Chanel (oltre 25 anni), sia perché anche la partnership con Fendi (oltre 50 anni) era un record assoluto nel mondo della moda, dove sempre più spesso stilisti e manager vengono cambiati come si fa con gli allenatori di calcio. Lagerfeld era mitologico già da vivo perché non è stato “solo” un grande stilista, ma anche fotografo, libraio e bibliofilo, regista, ideatore di campagne pubblicitarie e di comunicazione. Si è reso protagonista di eventi già entrati nella storia, come la sfilata Chanel a Cuba, qualche anno fa, con Fidel Castro ancora vivo. O, nel dicembre scorso, della “monopolizzazione” degli Champs Elysees da parte della nuova versione della bottiglia del profumo Chanel N°5, rossa come il più classico dei colori natalizi. Ma l’elenco sarebbe infinito.
Eppure – forse è questo a renderlo mitico, nel senso greco della parola – di Lagerfeld non si sa molto. O meglio: amava sottolineare le sue incoerenze e contraddizioni. Parlava dei suoi difetti più volentieri dei suoi pregi. Non pretendeva ammirazione né premi né sostegno. Ma otteneva tutto questo. Sembrava non avere rimpianti né recriminazioni verso se stesso o altri. Odiava parlare del passato e ai giornalisti che avessero osato chiedergli una data per un suo ritiro dalle scene, avrebbe risposto MOLTO male. Anzi, l’ha fatto. E più di una volta. Forse proprio per questo, per un misto di estrema consapevolezza del proprio valore e della propria inevitabile e umana, molto umana, freagilità e caducità, ha vissuto nel presente, celebrando la vita e tutto ciò che di vero può offrire. Per questo, probabilmente, detestava i funerali, che fissano con certezza la fine di qualcosa. Mentre, come dice il titolo dell’evento, Karl davvero vivrà per sempre.
Duemilacinquecento invitati
Ma chi ha lavorato con lui o lo ha conosciuto, nella moda e non solo (anche se Lagerfeld ERA il suo lavoro) non poteva lasciarlo andare senza un degno ricordo. Ed ecco l’evento al Grand Palais, per 2.500 invitati da tutto il mondo. Al Grand Palais Chanel, la maison di cui “Kaiser Karl” è stato direttore creativo fino all’ultimo dei suoi giorni terreni, ha sfilato molte volte nel recente passato e che verrà restaurato proprio grazie a una partnership con Chanel. All’interno del palazzo, uno dei simboli di Parigi, all’imbocco con gli Champs Elysees, sono stati appesi ritratti rigorosamente in bianco e nero di Lagerfeld, in momenti diversi della sua vita e della sua carriera: gigantografie (56 in tutto) che secondo Ines de la Fressange, musa e amica, «gli sarebbero piaciute, anche se avrebbe detto che non gli piacevano...».
Karl for Ever è stato voluto e organizzato da Chanel, Fendi e il marchio Karl Lagerfeld: la regia e la scelta degli ospiti sul palco è stata affidata al regista di opera Robert Carsen. I protagonisti del lusso, in platea, c’erano tutti. Tra questi, Bernard Arnault, ceo e presidente di Lvmh e terzo uomo più ricco al mondo dopo Jeff Bezos e Bill Gates, e Francois-Henri Pinault, ceo e presidente di Kering. Il primo è stato “sorpreso” a parlare amichevolmente con Alain Wertheimer, proprietario di Chanel, del quale a stento si conosceva, a oggi, la fisionomia. Il secondo si è intrattenuto con Bruno Pavlovsky, presidente della parte fashion di Chanel, e con Antoine Arnault, primogenito di Bernard.
Amici, colleghi e... “rivali”
Nessuna poltrona in stile teatrale, semplici file di sedie sulle quali si sono accomodati, tra gli altri, Stella McCartney,
Charlotte Casiraghi, Anna Wintour, Ralph Lauren, Valentino Garavani, Alber Elbaz, Silvia Venturini Fendi, Kenzo Takada, Jonathan
Anderson, Tommy Hilfiger, Haider Ackermann, Pierpaolo Piccioli e Alessandro Michele.
Spettacolo a più voci
Sul palco, lo spettacolo allestito da Carsen, che ha visto interventi, ricordi e performance di Tilda Swinton, Fanny Ardant,
Cara Delevingne ed Helen Mirren, attrici amiche di Lagerfeld, che hanno recitato brani di alcune autori a lui cari, come Virginia
Woolf, Stéphane Mallarmé, Colette ed Edith Sitwell. Ma si sono esibiti anche la ballerina Lil Buck, il violinista Charlie
Siem (che si è concentrato su brani di Niccolò Paganini, uno dei compositori più amati dalla made di Lagerfeld, Elizabeth),
il ballerino e coreografo argentino German Cornejo, accompagnato da 17 ballerini di tango e un’orchestra completa arrivata
da Buenos Aires (Carlos Gardel era il cantante preferito di Lagerfled e il tango il tipo di ballo che amava di più), il pianista Lang Lang, che ha suonato brani di Chopin al pianoforte Steinway che Lagerfeld disegnò per il 150esimo anniversario
dell’azienda. Last but not least, Pharrell Williams, che con Lagerfeld collaborava da qualche anno con progetti legati alla musica, alla fotografia e a capsule di prodotti.
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