Di che materiale è fatta la camicia che indossiamo? E chi ha cucito l’abito che vorremmo comprare? Se un tempo un vestito era “solo” un vestito, oggi è sempre più il prodotto finale di una filiera che interessa - o dovrebbe interessare - il consumatore, tanto quanto l’estetica e la vestibilità. Perché ha un impatto molto negativo sull’ambiente: la moda, infatti, è la seconda industria più inquinante al mondo.
Per produrre un singolo paio di jeans, per esempio, è necessario impiegare 3.800 litri d'acqua, 12 metri quadri di terreno e 18,3 Kw/h di energia elettrica, a fronte di un’emissione di 33,4 kg di CO2 equivalente durante l’intero ciclo di vita del prodotto. Ogni anno, i jeans prodotti sono circa 3 miliardi in tutto il mondo.
Proprio con l’obiettivo di raccontare cosa c’è dietro ciò che acquistiamo e indossiamo, l’associazione Mani Tese ha organizzato a Milano, in collaborazione con il Comune, “The Fashion Experience - La verità su quello che indossi”. L’ installazione multimediale - che sarà in allestimento in Piazza XXIV Maggio, fino al 30 giugno e visitabile gratuitamente - punta a evidenziare le conseguenze sociali e ambientali legate alla filiera produttiva dell’abbigliamento. Con un occhio rivolto in modo particolare alle produzioni “fast fashion”, che vengono realizzati all’estero (in Paesi come la Cina, ma anche la Turchia e il Marocco) e, messi sul mercato a un prezzo finale più basso, hanno, in molti casi, un ciclo di vita più ridotto.
«Il tema della sostenibilità e dell’economia circolare è sempre più centrale nel settore della moda, sia per una maggiore attenzione dei produttori che per una accresciuta consapevolezza da parte dei consumatori», ha detto l’assessore Cristina Tajani. Che ha aggiunto: « The Fashion Experience inserisce in un progetto di promozione di modelli di business sostenibile di cui il Comune è partner, e che abbiamo ospitato con grande entusiasmo».
L’installazione è organizzata in tre grandi strutture a pianta circolare, ciascuno dei quali ospita uno degli ambienti della mostra: il primo è dedicato all’impatto ambientale della filiera tessile, con la possibilità - per i visitatori - di sperimentare le conseguenze delle loro scelte di acquisto; il secondo si concentra sulle problematiche sociali e sullo sfruttamento del lavoro minorile: alcuni video fruibili in realtà aumentata illustrano la differenza tra come dovrebbe essere e come, invece, è la vita di una bambina impiegata in quest’industria. La terza cupola, invece, dà la possibilità ai visitatore di mettere a confronto due prodotti, un cappellino e un paio di sneaker, nei loro processi di realizzazione, dai campi di cotone al negozio: uno è stato realizzato con un occhio alla sostenibilità, l’altro no. E, inoltre, di inviare proposte di cambiamento all’insegna della sostenibilità ai propri brand preferiti.
La moda, in questo senso, negli ultimi anni ha già fatto passi da gigante, complice l’impegno di istituzioni (tra cui la Camera
della moda italiana) e imprese. Ma, soprattutto, sotto la spinta dei consumatori. «I segnali sono incoraggianti soprattutto nel settore tessile, che è stato infatti scelto per la nostra installazione, ma il tempo scarseggia – spiega Giosuè De Salvo, responsabile Advocacy,
Educazione e Campagne di Mani Tese - Il 2030 è l'anno fissato dalle Nazioni Unite per raggiungere gli Obiettivi di svilupposostenibile,
tra cui dimezzare la povertà, eliminare la fame ed evitare la catastrofe climatica. Per rendere sistemiche tutte le buone
pratiche di produzione e consumo servono quindi istituzioni politiche forti e credibili che guidino la transizione e perseguano
il bene comune».
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