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Putin un liberale deluso? Biografia di un leader nella nuova Russia

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Putin un liberale deluso? Biografia di un leader nella nuova Russia

Volodja «il bulletto» nasce dopo due fratelli morti, la madre ha già 41 anni, il padre brav’uomo di poche parole, una casa «in cui regnano amore e premura», un nonno eccellente cuoco che a Pietroburgo cucinò per Rasputin. Una famiglia povera ma non misera nella Unione Sovietica in cui l'era dei gulag si è appena chiusa e «il potere era diventato vegetariano», definizione di Marina Achmatova ricordata da romanzieri europei, da Emmanuel Carrère a Katja Petrowskaja, che hanno respirato Russia. Molte biografie su Vladimir Putin sono state scritte, quella della giornalista Nelli Goreslavskaya è appena uscita in Italia per Pagine, ne I libri del Borghese, collana che si potrebbe definire di destra con un certo grado di approssimazione perché un preciso pensiero in particolare il mosaico filo-Putin è composto da cocci di destra e di una sinistra sparsa un po’ ovunque, dalla Grecia all’Italia.

«Putin, storia di un leader. La Russia, l'Europa, i valori» è di un occhio così russo che ogni volta che può lascia cadere lì con distaccato disprezzo «gli economisti liberali» «il liberal-democratico Occidente», «i difensori dei diritti umani» non visti come male assoluto ma pose, atteggiamenti leziosi che non possono avere cittadinanza in Russia. La quale Russia – meglio, i suoi leader dagli anni 90 - quando si piega alle potenze del mondo è «presa a pedate, offesa e riceve lezioni di vita non solo dai forti, ma da chiunque vuole» persino «la Lettonia, la Georgia, la Moldavia» «per non parlare dell'Unione europea». Un Paese in cui «liberale e patriota non possono coesistere» ma i miliardari sono sempre di più.

La lettura più interessante in questa vita è scorgere in Putin un liberale fallito. Il contagio di certe idee avvenne già all'università, facoltà di legge: la convinzione che proprietà privata e libero mercato potessero essere panacea per i mali che avevano colpito o che avrebbero colpito lo stato russo. Putin spia del KGB a Dresda combatteva i dissidenti e leggeva il simbolo dei perseguitati, Solzenicyn. Goreslavskaya ricorda il libro «Collega» di Vladimir Usoltsev, agente con Putin negli anni tedeschi. Nel «Collega» si racconta che la giovane spia Putin aveva «lo stesso punto di vista» di Andrej Sacharov, fisico fra i padri della bomba a idrogeno e premio Nobel per la Pace che dà oggi il nome a un premio per la libertà di pensiero voluto dal parlamento europeo. Putin la pensava come Sacharov «non solo su diritti umani e democrazia ma anche sul confronto in campo militare»:«Solo l'evidente superiorità militare dell'Occidente può indurre alla ragione i potenti governanti militari del Cremlino» argomentava il giovane Putin con il collega Usoltsev.

È pericolosa semplificazione far coincidere Putin e i russi, e si rischia di perdere dettagli. Diverte scoprire che mentre la stampa occidentale riporta quotidianamente le minacciose dichiarazioni del Cremlino come chi sfida l'Occidente insensibile alle regole, lo sguardo russo ma critico di Goreslavskaya vede sopravvivere negli anni l'agente Putin spia&liberale: non si spiega in altro modo, scrive, «la resa delle basi di Camrain e Lourdes, la non resistenza all’arrivo degli americani nellla nostra Asia Centrale, nella Giorgia, nella Crimea». Diverte anche che la stampa popolare americana - il diffuso Usa Today - tiri fuori un rapporto del Pentagono secondo cui il presidente russo soffrirebbe di una forma di autismo quando i termini della questione erano già chiari ai genitori del «piccolo e mingherlino Volodja»: «senza esitare attaccava sempre per primo: mordeva, graffiava, tirava i capelli, faceva di tutto per non sfuggire a rivale di turno». Conseguenza di tale propensione, la passione per Sambo (difesa personale senza armi) e Judo «una filosofia» «rispetto per le persone più grandi, uno sport senza deboli». I genitori furono così presi da comprensibili ansie quando il figlio scoprì la palestra: «il ragazzo già cresceva bullo – in altri punti si legge “bulletto” - ci mancava pure che frequentasse un circolo per imparare a combattere».

Le aspirazioni di carriera furono pilota, esploratore, marinaio, soprattutto spia.
«La mia idea si basava sui racconti romantici dedicati al lavoro delle spie» racconterà Putin ai giornalisti, un ragazzo «cresciuto negli anni 70 » imbevuto dello stesso romanticismo che dall’altra parte del mondo produceva James Bond. Nel  KGB - racconta Goreslavskaya, edita in Italia da una casa che ha pubblicato anche «La rivoluzione conservatrice in Russia» di Alexander Dugin, pensiero in linea con l’ultimo Putin non più di nicchia - piacque subito «quella mente analitica, perché - disse il suo primo capo - lo spionaggio ha bisogno di intellettuali dalla mentalità aperta». È lo stesso Putin che anni dopo, Eltsin presidente, si distingue dai colleghi, doveva scegliere un ritratto per l’ufficio, i colleghi scelsero Eltsin, lui un’incisione di Pietro il Grande. Pare che in quell’incisione l’imperatore delle riforme fosse corrucciato, la stessa espressione che Putin avrebbe indossato dagli anni 90 al Cremlino quando gli fu chiaro che non avrebbe più potuto far parte neanche a livello teorico di quella minoranza liberale di cui, sostiene Goreslawskaja, il russo medio continua a diffidare. Ma è il suo vero pensiero o un vestito che ormai indossa così bene da non potere più cambiarlo? In questi mesi è uscito un altro libro scritto da Peter Pomerantsev, producer trapiantato a Londra, il titolo è bellissimo «Nothing is true and everything is possible», «Niente è vero e tutto è possibile. Il cuore surreale della Nuova Russia» paese con una dittatura diventata un reality show, killer professionisti con l’animo d’artista, oligarchi rivoluzionari, ex registi teatrali ora strateghi del Cremlino.

La Russia che minaccia la pace in Europa e non dà tregua all’Ucraina che vuole voltarle le spalle è una pentola di inquietudini dunque di storie. Fra le teorie eurasiatiche di Dugin e il punk delle Pussy Riot che sbarca in America, domenica un film russo che ha già vinto Golden Globe ed è stato premiato a Cannes compete per l’Oscar come miglior film straniero: si intitola Leviathan, è la storia di Kolia che vive in una piccola città sul mare gelido di Barents, rischia di perdere tutto, la casa e il negozio, perché il sindaco vuole il suo terreno. Certa stampa americana ne va matta, Mosca non più: il deputato pietroburghese Vitaly Milonov, promotore della legge contro la propaganda gay, ha chiesto al premier Medvedev la «restituzione dei finanziamenti pubblici» perché il film di Andrei Zvyagintsev è un'opera «contro la gente, realizzata con i soldi della gente, non rispecchia la tradizionale culturale russa, discredita la scuola nazionale di cinematografia e incita all'odio nella società», insomma un contenitore di stereotipi russofobi. Anche il ministero della cultura, che due anni fa aveva concesso i finanziamenti, ha voluto precisare «l'opera non merita i fondi e in futuro non sosterrà progetti simili». Sguardi russi affatto critici, né analitici né tempestivi.

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