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«Doppiopesismo» ed eurodemocrazia

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IL COMMENTO

«Doppiopesismo» ed eurodemocrazia

A che cosa serve eleggere Alexis Tzipras e un programma di rottura con l’Europa della troika se poi non cambia niente e Tzipras è costretto a seguire le orme di Antonis Samaras, il predecessore deprecato per gli eccessi di austerità che hanno travolto la Grecia?
In breve, in una democrazia indebitata dell’area euro vale ancora la pena di votare? L’ordine regna a Bruxelles il giorno dopo il sudato accordo politico tra Atene e i partner della moneta unica. Sospiro di sollievo generale. Scongiurato il peggio, il default ellenico, allontanata l’ombra di Grexit e del salto nel buio. Salvaguardate regole e patti europei. La vera partita negoziale però comincia solo ora e si annuncia per tutti una nuova corsa ad ostacoli. Piena di insidie.
Tutti hanno l’amaro in bocca, creditori e debitori: chi ha vinto, anzi stravinto, ma continua a non fidarsi del proprio successo perché continua a non fidarsi di chi ha sconfitto. E chi ha perso e fa finta di no, come Yanis Varoufakis: «Ormai sono finiti i tempi in cui le cose ci venivano imposte e non erano attuate. Ora saremo noi a decidere insieme ai nostri partner ristabilendo l’indipendenza nazionale della Grecia».

L’autodifesa del ministro delle Finanze suona patetica, se si mette a confronto il povero risultato con ambizioni e toni roboanti dell’inizio. Né smentisce questa istantanea dell’Eurogruppo, tornata prepotentemente in voga a Bruxelles subito dopo la capitolazione di Atene: Eurogruppo? Un tavolo intorno al quale siedono periodicamente 19 giocatori ma vince sempre uno solo, lo stesso, la Germania.
Perché dunque affossare il centro-destra e affidarsi alla sinistra radicale se poi devono comunque governare allo stesso modo? L’interrogativo sul peso effettivo della dinamica democratica e sui suoi reali margini di manovra ai tempi dell’euro e del patto di stabilità non è certo nuovo. Ma la Grecia di Tzipras lo ripropone a tutti senza veli, perché la sua Grecia sovversiva e nazionalista esprime il primo vero rigurgito democratico contro il sistema-eurozona. Non sarebbe mai nata, quella Grecia, se l’Europa non se la fosse ottusamente allevata in seno con la cecità delle sue politiche tecnocratiche eccessivamente punitive, socio-economicamente insostenibili, politicamente suicide.

Colpirne uno per educarne cento: l’Europa ha adottato la vecchia massima maoista nella speranza di bloccare il contagio: ieri come oggi Atene è la cavia ideale per neutralizzare sul nascere fermenti ribellisti e assalti all’ordine costituito dei vari Podemos, Sinn Fein, Front National, dei movimenti nazional-populisti.
L’assunto di partenza è chiaro: nella gerarchia delle regole, quelle europee prevalgono su quelle nazionali. A maggior ragione quelle del patto di stabilità e consimili vanno rispettate a prescindere, non possono nella sostanza soggiacere agli incerti e ai malumori delle democrazie.
Se l’Europa non fosse, come è, una proterva Unione di Stati nazionali sovrani ma una vera entità federale dotata di una propria Costituzione, di una propria politica macro-economica e finanziaria e di un bilancio comune adeguato, il teorema potrebbe anche avere una logica inattaccabile.
Non è così. Nel 2005 un tentativo di euro-Costituzione fu bocciato da Francia e Olanda e dimenticato. Nonostante, complice l’euro, l’interdipendenza tra Stati si approfondisca, in parallelo si accentuano spinte centrifughe e arroccamenti nazionalisti, soprattutto nell’euronord.

Senza contare che le cessioni di sovranità restano ineguali. La Germania è l’unico paese la cui Corte costituzionale prende decisioni di valenza europea. Di più, il Bundestag è autorizzato a approvare o respingere le decisioni del Governo adottate in sede europea per verificarne la conformità con la Legge fondamentale tedesca. Governi, parlamenti e strutture democratiche, soprattutto dei paesi debitori, risultano invece sempre più “minorati” dai nuovi patti sull’euro-governance. Non a caso, e da molto prima che arrivasse Tzipras, la legittimità della troika è messa seriamente in dubbio.
Fino a che punto però questo doppiopesismo democratico, questa eurozona di sovrani ineguali di diritto e di fatto è sostenibile senza provocare guasti irrimediabili alla convivenza europea e alla tenuta dell’euro, che per durare ha tra l’altro urgente bisogno di unione economica e politica? Commissariata ieri come oggi, la Grecia sembra tornata all’ovile ma il suo profondo disagio europeo non può essere liquidato con un duro e semplicistico richiamo alla disciplina dei patti europei (forse un po’ più flessibili).
La stabilità economico-finanziaria dell’euro è prioritaria per tutti ma non può prescindere dalla stabilità democratica e sociale dei paesi che lo compongono. Altrimenti, scongiurato il default greco, prima o poi arriverà quello europeo.

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