La Banca centrale europea ha già fatto tanto, tantissimo. Di più non può fare. Il messaggio del presidente della Bce Mario Draghi - per una volta piuttosto ottimista sulle prospettive di Eurolandia - è stato chiarissimo: il governo di Atene può aspettarsi molto poco dalla politica monetaria. Francoforte, ha ricordato, ha già prestato - prima con le aste di liquidità, poi con i prestiti di emergenza - 100 miliardi di euro alle banche del Paese: è il 68% del Pil, ha ripetuto almeno due volte Draghi, una cifra sicuramente superiore a quella concessa a qualunque altro paese di Eurolandia.
La Grecia esclusa dal Quantitative easing
Le banche elleniche potranno tornare a consegnare titoli di Stato di Atene, quindi, soltanto quando il Paese otterrà il via libera della Troika o delle istituzioni. È invece escluso - ha confermato - che possa partecipare al Quantitative easing (Qe). Gli acquisti di titoli di Stato non possono superare il 33% del totale di ciascun emittente, e quindi di ciascun Paese: è una regola posta dalla Bce - in questo senso perde un po’ valore la rivendicazione di Draghi, giustissima in altri contesti, secondo cui la banca centrale «è un’istituzione che si basa sulle regole, non è politica» - ma è in linea, per esempio, con quanto ha fatto la Bank of England nel suo Qe, che si è fermato quando sono stati acquistati il 30% circa dei bond britannici in circolazione. La Bce, però, possiede già più del 33% del titoli greci, acquistati con il programma Smp tra il 2010 e il 2011. Solo quando Atene, ha spiegato Draghi, rimborserà i titoli in scadenza, la banca centrale potrà inserire le obbligazioni greche nel suo programma.
Banche solventi, ma attenti alla comunicazione...
Le banche greche potranno comunque continuare ad avere accesso all’Ela, i prestiti di emergenza: sono solventi, e i loro requisiti patrimoniali sono ben al di sopra del minimo, ha detto. Draghi ha però ammonito i greci a far attenzione alla «comunicazione», che può ridurre la fiducia degli investitori, con effetti anche sui rendimenti dei titoli di Stato. La totale chiusura verso il governo di Atene è stata stemperata dalle ripetute dichiarazioni di Draghi sul desiderio della Bce di riammettere i titoli della Grecia alle aste: «Siamo la banca centrale della Grecia, ha spiegato, aggiungendo però di essere anche la banca centrale degli altri paesi di Eurolandia.
Ritorna l’ottimismo
La vicenda della Grecia ha messo un po’ in ombra un altro aspetto molto importante della conferenza stampa: l’ottimismo della Bce, che ha disegnato un quadro relativamente positivo del futuro di Eurolandia, dopo mesi di prospettive molto grigie. Le previsioni dello staff hanno corretto al rialzo le stime della crescita (1,5% quest’anno, 1,9% nel 2016, 2,1% nel 2017), ma anche quelle sull’inflazione: la velocità dei prezzi è stata abbassata allo zero per cento quest’anno, per l’effetto del calo del petrolio, ma è stata portata all’1,5% per il 2016 e all1’1,8% nel 2017.
Nessuno stop anticipato agli acquisti di titoli
L’inflazione dunque è già in marcia verso il 2%, ma Draghi è stato chiaro: queste previsioni presuppongono prevedono che gli acquisti di titoli seguino i programmi varati il 22 gennaio. «Non ci sono motivi oggi di cambiare quanto abbiamo previsto», ha detto il presidente, e cioè di acquistare titoli fino a settembre 2016 «o anche oltre se necessario». Uno stop in anticipo è quindi escluso, sulla base di queste indicazioni.
Il nodo del pil nominale
È un’indicazione molto importante, questa volontà di non anticipare la fine degli acquisti nel momento in cui le prospettive migliorano. Una crescita del 2,1% nel 2017 può essere considerata un buon risultato, anche se l’incertezza che circonda una previsione così lontana è piuttosto alta. Eurolandia, però, non ha soltanto bisogno che cresca il pil reale. In una crisi di debito - c’è stata e c’è ancora una recessione da bilanci (balance sheet recession) in molti paesi dell’Unione - occorre che anche il pil nominale cresca in maniera sufficiente.
Riportare Eurolandia in salute
Eurolandia è stata costruita presupponendo di una crescita del pil nominale del 4,5%: un paese che rispetti questo obiettivo e abbia un deficit pubblico pari ogni anno al 3% del pil raggiungere automaticamente, nel lungo periodo, un debito pari al 60% del pil. Da qualsiasi livello parta. I parametri di Maastricht, altrimenti arbitrari, acquistano senso solo in questo contesto. Quel 4,5%, che è la somma di un’inflazione al 2% e un pil reale in crescita del 2,5%, non è ancora garantito: il pil nominale crescerà - sulla base delle proiezioni della Bce - dell’1,5% quest’anno, del 3,4% nel 2016 e del 3,9% nel 2017. Non è un livello sufficiente in situazioni normali, è decisamente pochissimo dopo una crisi da debiti.
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