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Una spinta per la ripresa

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Europa

Una spinta per la ripresa

Mario Draghi ha definito il quadro delle regole che caratterizzeranno l'azione della nostra Banca centrale europea almeno fino al 2016, se non ci saranno sostanziali novità. Sono regole che possono essere una buona benzina per una ripresa economica in fasce.

Purché i politici, europei e nazionali, facciano partire i motori della macchina europea: riforme strutturali che siano profonde e politiche fiscali che siano efficienti. Altrimenti, troppa benzina può anche nuocere.
Il presidente Draghi ha colto l'occasione dell'inizio della nuova fase di politica monetaria per ribadire come la Bce sia una banca centrale che disegna le sue strategie avendo come perni un insieme di regole, che partono dall'assetto istituzionale, passano dalla individuazione dell'obiettivo della azione monetaria, ed arrivano alla definizione degli strumenti. Ribadire le regole che la Banca centrale europea si impegna a seguire è stato quando mai opportuno, per almeno due ragioni. Sul piano interno, sono continue le pressioni, politiche e non, perché le regole vengano trascurate, o addirittura violate. Sul piano esterno, la carenza di regole nella condotta della banca centrale americana (Fed) è un potenziale focolaio di instabilità.

Sul piano delle regole istituzionali, è necessario ricordare sempre che la Bce ha un obiettivo primario, che è quello di garantire la stabilità monetaria. È una banca centrale con un mandato specializzato, focalizzato sulle variabili economiche più vicine al suo controllo: la liquidità ed i tassi interesse. Più un mandato è specializzato, minori sono i rischi che l'azione della banca centrale diventi un volano di redistribuzione del reddito. Infatti più una banca centrale ha nel suo mandato altri obiettivi – come quello di stimolare l'occupazione e il reddito, oppure di occuparsi del finanziamento pubblico, ovvero di badare alla stabilità finanziaria – più le sue scelte avranno effetti redistributivi sul reddito tra categorie diverse di cittadini. Ma le scelte distributive non sono tecniche, sono politiche.

Se una banca centrale si fa carico dei problemi occupazionali – come la Federal Reserve – fa politica. Se una banca centrale decide o meno di salvare una banca – come sembra voler fare sempre di più la Banca d'Inghilterra – fa politica. Se la banca centrale deve occuparsi dei problemi di sostenibilità del deficit o del debito pubblico – come qualcuno, anche ieri, vorrebbe che la Bce facesse con la Grecia – fa politica. Ora una banca centrale che fa politica può essere ammissibile quando il suo interlocutore è una sola classe politica, come nella maggioranza dei casi esistenti. Ma quando si parla della Bce, mai dimenticare che gli interlocutori politici, con le relative esigenze distributive dei propri elettori, sono almeno diciotto. Il mandato specializzato è ancora quello che garantisce maggior stabilità all'istituzione che governa l'euro, e mai come in questi anni, anche a venire, ci occorre stabilità.

Il mandato istituzionale viene declinato – e Draghi non manca occasioni per ricordarlo – definendo un obiettivo in termini di crescita dell'inflazione, vicino al due per cento. Avere un tale obiettivo non significa – come tanti pensano – non preoccuparsi della crescita economica. Ogni allontanamento da tale obiettivo – incluso il rischio deflazione – significa che occorre reagire a shock negativi che arrivano da anomalie nell'offerta e nella domanda aggregata. E la politica monetaria può e deve reagire, come ha dimostrato l'azione della Banca centrale europea in questi mesi di stagnazione della crescita e dei prezzi. Piuttosto ci si può interrogare sui tempi ed i modi di tale reazione. Ma questo non vale per tutte le banche centrali nel post Grande Crisi Finanziaria.

L'inerzia delle decisioni è stata ed è una delle caratteristiche – nonché fonte di aspre critiche – che ha contraddistinto, in fasi diverse, sia le maggiori banche centrali – come la Fed, la Bce e la Banca del Giappone – che anche altri protagonisti dello scacchiere monetario, dalla Banca centrale svizzera a quella svedese. Nel caso della Bce, la presunta inerzia ha almeno due facili spiegazioni: la trappola della liquidità che ha bloccato l'economia europea e la trappola politica che può rallentare le decisioni della Bce, sempre alla luce della eterogeneità dei cittadini dei 18 Paesi che tale istituzione rappresenta. La sfida è superare le due trappole.

Per sciogliere la trappola politica, occorre l'Unione politica dell'Europa. Concentrandoci su un orizzonte più vicino, vale a dire sulla trappola della liquidità, Draghi ha dato questa volta notizie migliori del solito: il meccanismo che va dalla liquidità all'economia reale mostra segnali di normalizzazione. Dunque la scelta sulle regole relative agli strumenti – unire a tassi virtualmente nulli delle massicce e regolari operazioni di immissione mensile di liquidità attraverso l'acquisto di titoli – può dare all'economia europea quella benzina che a un motore che sembra riaccendersi può far comodo. A una condizione: che chi deve riaccendere il motore con le politiche giuste – vere politiche strutturali e politiche fiscali serie – faccia la sua parte. Altrimenti, l'eccesso di benzina non serve a niente. Anzi può far male, ingolfando un economia in cui gli eccessi di finanza hanno già fatto danni, così come dall'altra parte dell'oceano

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