È cronaca di questi giorni il viaggio a Mosca del presidente del Consiglio Matteo Renzi, sullo sfondo dell'incerta tregua in Ucraina e dei misteri sull'omicidio di Boris Nemzov, oppositore del presidente Vladimir Putin. Riavvolgendo di trent'anni la bobina della storia, registriamo a Mosca un evento di prima grandezza, che ci aiuta a capire anche la Russia di oggi. L'11 marzo 1985, dopo il grigiore degli ultimi anni dell'era brezneviana e i brevi interregni di Jurij Andropov e di Konstantin Cernenko, diventa segretario generale del Pcus Mikhail Gorbaciov, 54 anni, un'assoluta novità nella gerontocrazia dell'Unione Sovietica.
Originario della provincia di Stavropol, sulle propaggini settentrionali del Caucaso, laureato in legge e in economia agraria, Gorbaciov si iscrive al Partito comunista nel 1952, diventa deputato al Soviet Supremo nel 1970, entra nel Comitato centrale del Pcus l'anno dopo, quindi nella Segreteria nel 1978, per arrivare nel 1980 a far parte del Politburo, il “sancta sanctorum” del potere in Urss. Con lui per la prima volta sale al vertice del Pcus il rappresentante di una generazione che non ha fatto la Rivoluzione d'Ottobre, non ha vissuto gli anni bui dello stalinismo e non ha combattuto nella Seconda guerra mondiale.
Intanto in Italia...
Il 1985 era cominciato con un'ondata di maltempo e di gelo in Italia e in diversi paesi europei. Il 6 gennaio, domenica dell'Epifania, dieci centimetri di neve provocano il caos a Roma: treni bloccati, aeroporti di Fiumicino e di Ciampino chiusi, disagi a catena per gli automobilisti e vacanze natalizie prolungate nelle scuole. La settimana dopo i milanesi, che avevano sorriso nel vedere la capitale semiparalizzata, devono ricredersi: una nevicata che dura due giorni e due notti accumula oltre 50 centimetri di coltre bianca in città e fino a un metro e mezzo nelle zone di montagna. Anche Milano va in tilt e le autorità locali per rimuovere le tonnellate di neve ai bordi delle strade chiedono l'intervento dell'esercito, che impiega i carri armati: obiettivo raggiunto, ma sull'asfalto restano le profonde “cicatrici” dei cingoli.
Il 3 marzo - pochi giorni prima della morte di Cernenko (74enne, già in precarie condizioni di salute quando era salito al potere tredici mesi prima) e della designazione di Gorbaciov quale suo successore alla guida dell'Urss - la notizia più importante arriva invece da Londra. Dopo uno sciopero durato quasi un anno, i minatori britannici del carbone cedono alle dure condizioni del primo ministro Margaret Thatcher: no alla riassunzione dei 700 “miners” licenziati e chiusura di venti siti, con altri 20 mila minatori che possono perdere il posto di lavoro.
“Perestrojka” e “glasnost” al Cremlino
Dal Cremlino la nomina di Gorbaciov viene annunciata poche ore dopo la scomparsa di Cernenko, segno evidente che la successione era stata predisposta per tempo. L'opinione pubblica occidentale si chiede se a Mosca si è aperto – citiamo dal libro di Sergio Romano “Cinquant'anni di storia mondiale” (Longanesi, 1995) – «il vaso di Pandora in cui si erano accumulati tutti i vizi e le contraddizioni del sistema sovietico». In Italia nelle redazioni dei giornali e nei dibattiti in tv si interpellano i corrispondenti da Mosca e i “cremlinologi” per capire se le due parole chiave del vocabolario di Mikhail Gorbaciov – “perestrojka” (ristrutturazione economica) e “glasnost” (trasparenza politica) – porteranno davvero a un cambiamento profondo dell'Unione Sovietica.
A differenza dei suoi predecessori, Gorbaciov non assume la presidenza del Soviet Supremo (carica equivalente a quella di capo dello Stato), ma vi designa il vecchio Andrej Gromyko, ministro degli Esteri dell'Urss fin dal 1957. A guidare la diplomazia chiama invece un uomo fidato, il georgiano Edvard Shevardnadze. I due incontri di Gorbaciov con il presidente americano Ronald Reagan – a Ginevra nel novembre 1985 e a Reykjavik nell'ottobre 1986 – fanno ben capire quanto i nuovi leader moscoviti siano sinceri nel volere la distensione e il disarmo, meritando la fiducia dell'Occidente.
Usa e Urss avviano un negoziato, concluso a Washington nel dicembre 1987, per l'eliminazione dall'Europa dei missili di breve e media gittata. Tra il 1988 e il 1989 Gorbaciov ritira le truppe dall'Afghanistan (invaso dall'Armata Rossa quasi dieci anni prima) e convince Fidel Castro ad abbandonare l'Angola. La politica di non intervento archivia la “dottrina Breznev”, permettendo ai governi dell'Est europeo di essere artefici del proprio destino politico. Le elezioni in Polonia sono vinte dai cattolici di Solidarnosc e l'elettricista di Danzica Lech Walesa prende il posto del generale Jaruzelski alla presidenza della Repubblica.
Novembre 1089: crolla il muro di Berlino
Infine, nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1989, cade il muro di Berlino: uno di quegli eventi che “tagliano” il corso della storia. La notizia arriva nelle nostre case con i telegiornali della sera e della notte. In quei giorni, perfino i governanti del mondo non immaginavano la fine del Muro: con la sua proverbiale ironia, Giulio Andreotti una volta disse di amare talmente la Germania da volerne due. Invece la riunificazione tedesca – il 3 ottobre 1990 - suggellerà il superamento della divisione del Vecchio continente in due blocchi contrapposti. Nei vertici di Malta (dicembre 1989) e di Mosca (luglio 1991), il successore di Reagan, George Bush sr. e Gorbaciov fanno un altro passo avanti verso il disarmo nucleare - dal trattato Salt al trattato Start I - che prevedeva non solo la limitazione, ma anche la riduzione di un terzo delle testate nucleari delle due parti. La Guerra fredda era finita.
“Gorby” e Raissa: bagno di folla a Roma e Milano
Prima di recarsi a Malta, Gorbaciov compie una visita di tre giorni in Italia con la moglie Raissa. A Roma tiene un discorso in Campidoglio denso di richiami alle ragioni della pace e dei diritti umani; in Vaticano avviene la storica stretta di mano fra i due maggiori protagonisti della svolta politica nell'Est europeo, il leader comunista e il papa polacco Giovanni Paolo II. Nel viaggio, il 1° dicembre, c'è anche una breve tappa a Milano: in un pomeriggio pieno di sole, per “Gorby” e Raissa è un bagno di folla: piazza Duomo, la Galleria, piazza della Scala. Mentre la moglie visita il Cenacolo Vinciano, Gorbaciov incontra al Castello Sforzesco il presidente del Consiglio Andreotti e gli imprenditori guidati dall'avvocato Agnelli; poi dal presidente del Senato Spadolini riceve il titolo di Bocconiano d'onore, prima di chiudere la giornata incontrando i giornalisti.
Nel 1990 Gorbaciov raggiunge l'apice dei riconoscimenti: viene confermato segretario del Pcus e presidente della Repubblica con ampi poteri (dopo la riforma costituzionale del 1989), insignito del Premio Nobel per la pace. Pareva vicina la prospettiva di un mondo sempre più cooperativo e pacifico, grazie al trionfo dei principi della democrazia e del mercato: quasi “la fine della storia” vagheggiata dal politologo americano Francis Fukuyama nel suo famoso libro “The End of History and the Last Man”. Ma fu ottimismo di breve durata.
La situazione interna nell'Urss andava facendosi sempre più difficile e cresceva il malcontento: le riforme proposte da Gorbaciov si scontrarono con le resistenze burocratiche e l'opposizione dei poteri forti, facendo precipitare il paese in una disastrosa crisi economica e riacutizzando le spinte indipendentistiche e i conflitti etnici fino ad allora repressi.
Mosca 1991: dal tentato golpe alla fine dell’Urss
Nel luglio 1991 Gorbaciov andò al summit del paesi più industrializzati a Londra per chiedere un sostegno al suo piano di riforme, ma la maggioranza del G7 si espresse contro la concessione dei sostanziosi crediti, da lui richiesti per affrontare la crisi economica e mantenere il controllo della situazione politica interna (nonostante le buone intenzioni dell'Italia di Andreotti, della Francia di Mitterrand e anche della Germania di Kohl). «In Occidente forze decisive guardavano già al dopo-Gorbaciov», chiosa Francesco Benvenuti nel suo libro “La Russia dopo l'Urss” (Carocci, 2007).
A Mosca il 19 agosto 1991 scatta un tentativo di colpo di stato, organizzato dai conservatori del Pcus, che tuttavia fallisce. Ma Gorbaciov di fatto perde il potere, anche se il mondo esterno lo crede ancora al comando, come ha scritto Hélène Carrère d'Encausse (“La Russie entre deux mondes, 2010, pubblicato in italiano da Salerno editrice): «È il rivale – e inizialmente suo protetto – Boris Eltsin, l'uomo salito in piedi su un carro armato, simbolo della resistenza al “Putsch”, a prendere in mano la situazione». Gorbaciov rimane presidente fino al 27 dicembre 1991, quando viene decretato lo scioglimento dell'Urss.
La Russia, diventata pienamente sovrana, raccoglie l'eredità internazionale dell'Unione Sovietica, subentrandole anche nel seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Eltsin resterà in carica fino al 31 dicembre 1999, quando passerà la mano a Vladimir Putin, già suo primo ministro. Qui torniamo all'attualità, con Putin tuttora al Cremlino dopo la “staffetta” costituzionale con Dmitrij Medvedev, tra il 2008 e il 2012.
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