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Altolà di Londra all’oligarca russo Fridman

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Altolà di Londra all’oligarca russo Fridman

LONDRA

Viene da Leopoli, bastione del nazionalismo ucraino, terra ancora in odore di Polonia cara ai cattolici. Forse è per questo che l’ebreo Mikhail Fridman, oligarca della prima ora, navigato abbastanza per nascere con Eltsin e sbocciare con Putin, ha poco o nulla a che fare con le terre dove batte con passione il cuore europeo dell’Ucraina. Business is business e lui il business preferisce farlo da Mosca anche a costo di diventare involontario oggetto di un nuovo capitolo dell’eterno grande gioco anglo-russo, lontano dagli scacchieri dell’Asia centrale, disteso ormai fra le acque del Mare del Nord.

La lite fra Mikhail Fridman e il governo britannico rischia di trasformarsi da scaramuccia a caso internazionale, con Donwing Street schierata contro l’ultima creatura dell’oligarca per tutelare il petrolio di casa. Pronta, soprattutto, a giocare d’anticipo nella certezza che le cose, fra Mosca e il blocco occidentale, siano destinate a peggiorare con un’ulteriore stretta alle sanzioni che potrebbero colpire energia e capitali privati. Il premier David Cameron lo ha detto senza equivoci in un’intervista al Wall Street Journal. «La Russia non può permettersi – ha scandito - di stracciare una parte importante delle regole internazionali continuando ad avere accesso ai mercati internazionali, alla finanza internazionale, al sistema internazionale«. Il che vuole dire: per Londra, Mosca è sul ciglio dell’abisso, l’attende un destino da pariah del mondo, non troppo diverso da quello imposto all’Iran. Risposta dura, dunque, all’escalation ucraina e al paso doble che il Cremlino continua a danzare fra i tavoli di Minsk e i cannoneggiamenti nel Donbass.

Le parole del primo ministro chiariscono i contorni di un contrasto complesso che incrocia l’interesse economico e il bastone politico, nell’inestricabile intreccio anglo-russo. Tutto nasce dalla holding Letter1 creata da Fridman con i miliardi incassati dalla vendita della sua quota in Tnk-Bp. Target del nuovo veicolo sono asset delle telecomunicazioni e, sotto il cappello di L1Energy con 10miliardi di dollari di capitale a disposizione, asset dell’energia. A presiedere quest’ultima, l’oligarca ha piazzato un Lord inglese. Non un qualsiasi Pari del Regno, ma Lord Browne, storico numero uno di Bp e grande nemico di Fridman ai tempi di Tnk. Screzi del tutto risolti se il tycoon di Leopoli ha voluto proprio l’ex boss di Bp alla testa della sua nuova impresa. Una scelta che implica la necessità strategica di aver un solido network di contatti in Gran Bretagna come quelli che Lord Browne può garantire. Un’esigenza che è divenuta ora un imperativo. Nel primo, significativo deal L1Energy ha messo sul tavolo 5 miliardi di euro per rilevare dai tedeschi le attività di Rwe Dea, che opera in gas e petrolio e che controlla decine di pozzi nelle acque britanniche del Mare del Nord. Il niet questa volta lo ha pronunciato Londra pretendendo la vendita a terzi degli asset off shore. E lo ha fatto per bocca del ministro dell’energia, Ed Davey, secco nel dare otto giorni a Mikhail Fridman: entro metà della prossima settimana deve accettare di vendere o spiegare perché si oppone. La reazione dell’oligarca è stata esplosiva con l’esplicita minaccia di trascinare il governo inglese in causa. Londra giustifica sè stessa annunciando di temere che sanzioni prossime venture sulla Russia possano bloccare la produzione, in una riedizione di quanto accaduto a Rhum, in Iran. David Cameron, come abbiamo visto, è andato più in là facendo capire che essendo Londra favorevole a una nuova stretta contro la Russia, si deve tutelare...da se stessa.

Fonti raccolte dal Financial Times vanno più là, denunciando il timore inglese dell’espansione russa in aree petrolifere strategiche. In altre parole a muovere Londra non sarebbe solo la preoccupazione per l’impatto di future sanzioni sull’operatività dei pozzi di Rwe-Dea (garantiscono il 4% della produzione di gas del Regno), ma la paura di una campagna russa per fare incetta di asset dell’energia che la “caduta” del barile rende più vulnerabili a possibili takeover. La vicenda non è il frutto di un’impuntatura di Ed Davey, ma il prodotto di una decisione del National security council presieduto da David Cameron e composto anche da rappresentanti della Difesa. Scelta strategica e di sicurezza nazionale, quindi, nonostante mister Fridman sia un privato imprenditore e non la longa manus del Cremlino. Ma queste “sottigliezze” rischiano di non trovare più spazio quando ritornano i fantasmi della guerra fredda.

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LA VICENDA

Tra energia e geopolitica

Mikhail Fridman, classe 1964, è uno dei più ricchi uomini d’affari russi (secondo nella classifica di Forbes 2014), attuale presidente del gruppo Alfa

A fine febbraio di quest’anno la holding Letter One, creata da Fridman con i miliardi incassati dalla vendita della sua quota in Tnk-Bp a Rosneft, ha concluso l’accordo per rilevare la tedesca Rwe Dea, che controlla 12 giacimenti di gas e petrolio nel Mare del Nord

All’intesa si oppone il governo britannico, temendo l’impatto sulla produzione di nuove, possibili sanzioni alla Russia e, più in generale, l’espansione di Mosca in un settore strategico. A Fridman Londra chiede di vendere i giacimenti sotto la sua giurisdizione