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Questo articolo è stato pubblicato il 16 marzo 2015 alle ore 10:25.
L'ultima modifica è del 16 marzo 2015 alle ore 16:33.

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L’ondata è stata travolgente e solo la Germania ha raggiunto la superficie. Il resto dell’Europa resta invece sott’acqua. Italia, Spagna e Portogallo faticano a risalire, la Francia sembra a un passo dalla riva. Le ex prime della classe Olanda e Finlandia stanno recuperando terreno, mentre la Gran Bretagna arranca nonostante gli sforzi della sua Banca centrale, che ha iniettato liquidità pari al 20% del Pil. La Grecia resta negli abissi, mentre l’Irlanda si posiziona al penultimo posto nonostante il Pil a pochi passi dai livelli pre-recessione.

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Otto anni dopo l’esplosione della crisi il ritorno alla normalità appare più lontano del previsto, come rivelano le elaborazioni del Sole 24 Ore e del Centro Studi Sintesi sulla performance di dieci Paesi europei dal 2007 al 2014, analizzata attraverso otto indicatori che tastano il polso all’economia. Il risultato è un indice sintetico che misura la distanza in metri dalla superficie (il 2007) e vede ai poli opposti la Germania, ben salda alla terraferma a 3,1 metri sopra il livello del mare, e la Grecia a 29,1 metri di profondità. «La crisi - sottolinea Luigi Campiglio, docente di politica economica dell’Università Cattolica - ha ampliato le divergenze tra le economie e la distanza tra chi ha rialzato la testa e chi rischia di annegare è molto ampia». L’impatto dell’onda, gli fa eco Alberto Cestari, ricercatore del Centro Studi Sintesi, «non è stato simultaneo: l’esperienza subacquea di Berlino è durata appena due anni (2009 e 2010), mentre alcuni, come Italia, Francia, Olanda, Gran Bretagna e Finlandia, hanno registrato una caduta nel 2009, una moderata ripresa nel 2011 e un nuovo tonfo nel 2012, anche se di minore intensità. Per altri, come Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna l’immersione è stata sempre più profonda».

Restringendo il focus sugli otto indicatori si scopre che nessun Paese, Germania compresa, presenta tutti i valori positivi. Da Nord a Sud la zavorra è il debito pubblico: rispetto al periodo pre-crisi lo stock è cresciuto in tutti i Paesi. Per l’Italia, che già nel 2007 presentava un livello poco sotto il 100% del Pil, il peggioramento non è stato così traumatico. Qui la maglia nera è l’Irlanda, dove il paracadute del salvataggio di Ue e Fmi si è chiuso nel dicembre 2013, lasciando una pesante eredità. L’altra nota dolente sono gli investimenti, che hanno spinto tutti verso il basso, con la sola eccezione tedesca. Anche la produzione industriale fatica a ripartire, ma qui, oltre alla Germania, viaggia controcorrente anche l’Irlanda, patria di elezione delle multinazionali grazie anche al gioiello di famiglia, la tassazione al 12,5 per cento. Sul fronte dei consumi e dei prestiti alle imprese, invece, qualcosa timidamente si muove con una spinta verso l’alto in quattro Paesi.

Italia, Portogallo e Spagna fanno l’en plein con tutti gli indici in peggioramento. «Per tutti e tre - dice Campiglio - il conto dell’austerity è stato molto salato». Nel nostro Paese, che si trova a 12,3 metri dal livello del mare, i cantieri fermi e la produzione industriale che stenta a decollare hanno trascinato il Pil verso il basso. L’unico segnale incoraggiante arriva dai prestiti alle imprese. Ma questo non basta per sognare la terraferma. «Per l’Italia - afferma Campiglio - il rischio è che a forza di restare sott’acqua si perda il potenziale produttivo». Anche se, fa notare Cestari, le stime sul 2015 suggeriscono che probabilmente il nostro Paese ha toccato il fondo e sta iniziando la lenta risalita. La Spagna è ancora più sotto (-24,9 metri), ma nel secondo semestre del 2014 ha invertito la rotta.

Il secondo e il terzo posto della classifica vanno a Francia e Olanda, due Paesi che hanno ottenuto uno sconto sul deficit da parte della Commissione Ue con un allungamento dei tempi di rientro sotto la soglia del 3% del Pil. «Segno che - dice l’economista - la flessibilità dei conti pubblici premia». La vera sorpresa è la Francia, che nuota ad appena 1,6 metri sotto il livello del mare e sembra essersi lasciata alle spalle l’immagine di malato dell’Eurozona, forte dei metri conquistati sul fronte del Pil e dei consumi che le hanno consentito di invertire la rotta sul numero degli occupati. Il tallone d’Achille di Parigi resta però la competitività. In Olanda, invece, il Pil è ormai a un soffio rispetto al livello del 2007, ma i consumi continuano ad arrancare. Per riemergere restano all’Aja solo 3,2 metri da percorrere.

Non soprende l’ultimo posto della Grecia, con numeri da vera e propria emergenza umanitaria. Qui solo i prestiti alle imprese in risalita rappresentano l’unico barlume di speranza. La vera sorpresa, in negativo, è invece Londra, ancora lontana dalla mèta. Il massiccio programma di quantitative easing della Banca d’Inghilterra e il programma Funding for Lending che ha ispirato il Tltro della Bce, fa notare Campiglio, per ora ha avuto un impatto solo sui consumi, ma non ha ancora raggiunto le imprese, con prestiti e produzione industriale lontani dai livelli pre-crisi. «Segno che - conclude l’economista - anche nell’Eurozona la Bce può fare molto, ma non ha la bacchetta magica. La vera ricetta per riemergere passa per un massiccio piano di investimenti pubblici e privati e un alleggerimento della pressione fiscale. Il piano Juncker da 315 miliardi è un ottimo punto di partenza, ma i governi devono fare la loro parte».

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