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«Vi racconto la vita dei profughi siriani nei campi del Libano»

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EMERGENZA UMANITARIA

«Vi racconto la vita dei profughi siriani nei campi del Libano»

Abu in piedi davanti alla sua tenda nel campo profughi di Marj El Khokh, nel sud del Libano, guarda le nuvole che si addensano nel cielo. Stanotte la temperatura è arrivata vicino allo zero ed il vecchio capofamiglia sa che l’asprezza di questa stagione rende ancora più dura l’esistenza sua e delle altre 13 persone che con lui condividono un tetto fatto di plastica e lamiere. Stamattina ha ricevuto il gasolio dallo staff di Avsi che lavora al campo per alimentare una piccola stufa che aiuterà le persone che vivono in questa tenda a sentire meno il freddo.

Anche Omar ormai è un “residente” del campo di Marj El Kok. A colloquio con gli assistenti sociali di Avsi, rivendica orgogliosamente il suo ruolo di capofamiglia. Ogni giorno si reca nei campi della piana agricola per guadagnare i soldi necessari al sostentamento di sua moglie e dei loro 5 figli. Vogliono continuare a vivere, facendo affidamento soprattutto sulle proprie forze, ma chiedono di non essere dimenticati. Omar ha costruito personalmente la tenda dove vive ma con il tempo i buchi sono diventati sempre più grandi e ora non ha abbastanza soldi per coprirli con teli e stracci.

Vite cambiate dagli orrori della guerra, interrotte e costrette a ricominciare in altri luoghi, lontano da casa. Spesso senza la sicurezza di un tetto sulla testa, di cibo e di istruzione per i propri figli. Questo vuol dire essere profughi, non avere niente di normale, bello e familiare: vivi lontano da casa, lontano dalla tua famiglia, sotto una tenda. Sei partito da un posto violento ed arrivi in un posto dove la violenza ti ha seguito, perché i campi profughi sono violenti.

Oggi ormai a 4 anni dallo scoppio della guerra in Siria affianco all’emergenza umanitaria, quella di assicurare un tetto e del cibo a chi scappa, c’è anche un’altra urgenza: quella di evitare che una generazione vada perduta, che resti senza alcuna istruzione o non completi i cicli scolastici iniziati in patria. In questi quattro anni, la guerra in Siria ha riversato in Libano – Paese di 4 milioni di abitanti – circa 2 milioni di profughi, di cui quasi mezzo milione di bambini in età scolare.

Quindi la scuola, avere un insegnante, un quaderno o una penna sono diventate cose necessarie per i bambini dei campi. Il far riprendere loro la scuola, farli giocare, far fare loro corsi di alfabetizzazione… tutto concorre per farli tornare ad amare la vita.
Passando per il campo tra fango e stracci tanti piccoli volti spuntano dalle tende e viene da chiedersi: sapranno di essere in un villaggio disperso in Libano perché una guerra li ha cacciati da casa? Si ricorderanno cosa vuol dire andare a scuola? Avranno fatto in tempo ad imparare a leggere? I genitori oggi sono al lavoro in un campo e quindi questa sera tutti mangeranno? A volte non si ha il coraggio di cercare le risposte alle domande che ci facciamo, quello che so è che oggi Ahmad, 6 anni e da 4 profugo, grazie ad un corso di alfabetizzazione che stiamo facendo nel campo, ha imparato a scrivere i numeri. Forse è poco per il compleanno dei 4 anni trascorsi con una guerra per “amica”, ma penso che dare una chance a Ahmad e agli altri quarantamila bambini che con Unicef stiamo aiutando in questo momento, sia l’unica risposta possibile a chi è pronto a usare le ignoranze e le povertà come fresca carne da macello in nome e per conto di una “guerra santa”.
* rappresentante Avsi in Libano

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