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Israele verso il voto: Herzog spera nella vittoria ma il Paese è…

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martedì la consultazione elettorale

Israele verso il voto: Herzog spera nella vittoria ma il Paese è spaccato

TEL AVIV - La scaramanzia imporrebbe il silenzio. Ma c'è aria di vittoria al numero 53 di Yigal Allon, nella parte Sud della città, davanti al palazzo del basket dove gioca il Maccabi. Diviso fra il secondo e il quarto piano c'è il quartier generale di Sionismo Unito, la lista del partito laburista al quale si è aggiunta Tzipi Livni.
È il centro-sinistra che conta di tornare al potere dopo 16 anni di sconfitte. «Sono ottimista», dice una giovane al computer che raccoglie le mail degli indecisi che bisogna chiamare, coccolare e convincere ad andare a votare martedì. Un manifesto mostra Isaac Herzog, il leader del Labour e della lista, vestito da Capitan American. «Il nostro capitano che salverà le relazioni con gli Stati Uniti», ricordando la pesante frattura fra Bibi Netanyahu e Barack Obama.

Oggi è stato l'ultimo giorno di campagna elettorale e i corridoi del secondo e del quarto piano di Yigal Allon sembrano un alveare. Giovani, tanti giovani vanno e vengono carichi di palmari e i-pad, i candidati rilasciano con un certo affanno le ultime dichiarazioni. Fra loro c'è Xenia Svetlova, 37 anni, i primi 20 dei quali vissuti a Mosca: è alla sua prima esperienza di candidata alla Knesset, il parlamento israeliano. «Sì, siamo molto ottimisti. Iran, Iran Iran: Bibi Netanyahu non parla d'altro. Certo, è importante per la nostra sicurezza. Ma non è l'unico problema d'Israele: dobbiamo risolvere quello con i palestinesi, occuparci dell'economia. Molta gente non ha abbastanza soldi per vivere in un Paese che non è povero ma solo ineguale».

Nel 1992, quando votò per la prima volta, la comunità degli ebrei russi, fra i quali ora Xenia cerca voti, scelse la sinistra. Poi passò in blocco alla destra nazionalista. «Ora stanno scegliendo il centro-sinistra», garantisce Xenia. Il voto russo garantisce fra 16 e 18 seggi dei 120 della Knesset, una lobby importante.

Ma ciò a cui punta soprattutto Sionismo Unito è la stanchezza della gente verso Bibi Netanyahu, che guida Israele dal 2009 (aveva già governato anche dal 1995 al 99). «Il governo è come una canottiera. Se non la cambi, puzza», dice in maniera molto chiara un manifesto laburista.

Poche ore più tardi, in piazza Rabin, il primo ministro che chiude la campagna del Likud e di tutte le destre alleate, non sembra rassegnato a questo destino. Nonostante tutti i sondaggi indichino un divario di quattro seggi a favore dei laburisti: 24 a 20, 26 a 22. È una vittoria, comunque insufficiente per essere la garanzia per governare. Il sistema proporzionale israeliano impedisce a qualsiasi singolo partito di vincere da solo. Bibi potrebbe perdere ma, diversamente da Herzog, potrebbe avere più possibilità di formare una coalizione. Molto dipenderà da come andranno i partiti più piccoli sia nel centro-destra che nel centro-sinistra.

Organizzare la grande manifestazione finale a Tel Aviv – una città laburista – e in piazza Rabin – dove il leader laburista fu assassinato nel 1995 - è una coraggiosa prova di forza o di arroganza. In un discorso d'attacco e molto negativo (per lui Israele ha nemici dappertutto, anche in Israele), Bibi parla da un podio, protetto da un vetro anti-proiettile: più per spaventare che per un reale problema di sicurezza. Parla a non più di trenta metri dal luogo in cui un estremista nazional-religioso sparò a Rabin. Di quell'omicidio Netanyahu, che aveva attaccato e insultato il premier laburista che cercava un compromesso di pace con i palestinesi, fu considerato il mandante morale.

In piazza non c'è molto della vecchia aristocrazia borghese e conservatrice del Likud. Ci sono tutte le destre più radicali del Paese, compresi i coloni di Hebron, i più estremisti e razzisti. Per quanto l'economia sia la prima preoccupazione degli israeliani, chiunque vincerà questa elezione dovrà comunque affrontare la questione palestinese. Quello che il Paese offre nell'ultima giornata di campagna elettorale, prima del silenzio e del voto, è un Paese spaccato in due. Difficile troverà un compromesso per risolvere i suoi problemi.

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