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Oggi Israele al voto, referendum su Netanyahu

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elezioni parlamentari

Oggi Israele al voto, referendum su Netanyahu

Il manifesto ufficiale nel quale Isaac Herzog e Tzipi Livni posano con la sobria e convenzionale eleganza di tutti i politici che vogliono governare, dalla California alla Cina, dice: «Leadership responsabile».

Una didascalia per indicare ciò che sembra mancare oggi a Israele e che domattina, dopo un martedì elettorale, il Paese forse avrà.
Ma quello che rappresenta di più le ambizioni di Sionismo Unito e forse coglie il vero punto delle elezioni 2015, è un altro poster, appeso nei corridoi del quartier generale della lista, al 53 di Yigal Allon, davanti al palazzetto dove gioca il Maccabi. Un giovane dal corpo scolpito - l'ideale del sionismo contemporaneo che non ara più la terra dei kibbutz ma apre startup, si fa i muscoli in palestra e mangia sushi - sta per togliersi la maglietta sanitaria: «Il governo è come una canottiera. Se non lo cambi, puzza».
La canottiera è Bibi Netanyahu, primo ministro da sei anni ininterrotti, un record per le tradizioni politiche israeliane. C'è l'economia e la sicurezza; ci sono i poveri, in fondo non così sventurati come in altre parti del mondo, ma insopportabilmente poveri in un Paese ormai ricco come Israele; c'è da decidere se ultimare le conquiste territoriali della Grande Israele o ritirare gli insediamenti per fare spazio a uno Stato palestinese. Ieri Bibi ha annunciato che se sarà eletto, uno Stato palestinese non nascerà mai. Ma il cuore, il punto di queste elezioni, è Benjamin Netanyahu: il voto per la Knesset nasconde un referendum su di lui. Non si tratta solo degli ultimi sei anni: Bibi aveva già governato dal 1996 al 99. Ma anche all'opposizione o nel breve oblio nel quale cadono tutti i politici d'Israele per poi risorgere, quella di Netanyahu è sempre stata una figura vistosa. “A Wonderful Land”, la satira che Channel 2 trasmette dal 2003, rappresenta Bibi Netanyahu esattamente come Maurizio Crozza interpreta Berlusconi: un mattatore, un politico dall'ego e dagli appetiti debordanti.

«Tre mesi fa, quando ha annunciato le elezioni anticipate, nessuno pensava che potesse essere battuto. Per la gente Bibi era una forza della natura contro la quale non c'era niente da fare, votava per lui anche chi lo temeva o lo detestava», racconta Polly Bronstein, vicepresidente del movimento pacifista OneVoice. Poi lei e un gruppo di altri giovani hanno creato V-15 in un appartamento di Tel Aviv, vicino ai boulevard. Una startup politica, nata per convincere gli elettori ad andare a votare, battere Netanyahu «perché non è possibile avere un primo ministro che ha cattive relazioni con tutti i governi del mondo», e sciogliersi una volta raggiunti gli obiettivi. Molti dei giovani che hanno aderito e ora sono sotto pressione, perché V-15, Vittoria 2015, non è un partito e dunque non ha l'obbligo di interrompere la sua campagna, sono creatori di startup tecnologiche. È un passaggio naturale perché il metodo è lo stesso: pensare e inventare.
«Noi non diciamo alla gente per chi votare ma di andare a votare», spiega Polly. «Il nostro campo va dai centristi moderati all'estrema sinistra: alle ultime elezioni ha votato solo il 71%. Nei feudi del centro-sinistra, a Tel Aviv ha votato solo il 62%, a Haifa il 58. Anche nel movimento dei kibbutz ha votato poco più del 60. Abbiamo creato una app con i nomi e gli indirizzi di tutti gli elettori di quest'area. Poi siamo andati a bussare porta a porta; siamo tornati una seconda volta, e lo stiamo facendo una terza con chi ancora è incerto».
Chi crea una startup ha l'obbligo di essere pragmatico. Così a V-15. «Se aumentiamo la partecipazione del 5% nel nostro campo, 180mila elettori in più, conquistiamo altri quattro seggi. Oggi bastano per mandare a casa Netanyahu. Ma non è un miracolo, è metodo». Forse Polly Brainstein esagera quando dice che «Bibi e le destre sono nel panico». Ma la reazione del premier contro V-15, diffusa sul suo profilo Facebook, è piuttosto putiniana: «Elementi dei giornali di sinistra in Israele e all'estero, hanno cospirato per portare Sionismo Unito illegittimamente al potere, con aiuti in denaro senza precedenti dall'estero». Un'oscura lobby ebraica contro Netanyahu: una contraddizione in termini, dopo il turbo-comizio al Congresso che i repubblicani americani gli avevano organizzato due settimane fa.

C'è aria di vittoria nei corridoi al 53 di Yigal Allon e a V-15, dove centinaia di volontari, giovani formiche determinate, stanno compiendo l'ultimo sforzo elettorale. E' dal 1999 che non accade. Il laburista moderato Herzog più Tzipi Livni, la pacifista venuta dalla destra più profonda (i suoi genitori erano militanti dell'Irgun, il sionismo più reazionario), sembrano la miscela giusta per vincere. Lo dicono tutti i sondaggi. Ma nessuno si sbilancia fino a sostenere che vinceranno tanto da formare un governo. L'ombra di Bibi, ai limiti di un'immortalità politica sconosciuta a Ben Gurion, Dayan e perfino a Shimon Peres, è ancora presente: potrebbe perdere le elezioni ma, con l'aiuto dei partiti minori della destra, vincere la coalizione per il suo quarto mandato.

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