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Fed, la stretta sui tassi sarà «soft»

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L’ANALISI

Fed, la stretta sui tassi sarà «soft»

La Federal reserve non è più «paziente», ma non ha alcuna fretta. La banca centrale di Washington ha rimosso dal suo comunicato quella parola, «patient», che indicava un atteggiamento di attesa e apre una nuova fase che si concluderà con il primo rialzo dei tassi. Non sembra però che l’inizio della stretta sia imminente. La possibilità di un rialzo a giugno resta aperta, ma l’ipotesi di un rinvio - sui quali i mercati hanno da qualche tempo iniziato a scommettere - acquista peso. In ogni caso, la Fed immagina di portare i tassi al livello “normale, tra il 3,5 %e il 4%, più lentamente di quanto non immaginasse a dicembre.

Nessun rialzo ad aprile
Il comunicato della Fed non dà indicazioni precise sui tempi. Tranne una: la riunione del 28-29 aprile non si chiuderà con un rialzo dei tassi. «Il comitato (di politica monetaria, o Fomc, ndr) ritiene che un rialzo nel range dei tassi sui federal funds resta improbabile alla riunione del Fomc di aprile». Giugno, luglio, settembre e ottobre - la banca centrale si riunisce ogni sei settimane - restano però date valide. Da cosa dipenderà allora l’inizio del rialzo? «Sarà appropriato» alzare i tassi «quando si saranno visti ulteriori miglioramenti nel mercato del lavoro», che pure secondo la Fed ha fatto progressi, «e si sia ragionevolmente fiduciosi che l’inflazione tornerà al suo obiettivo del 2% nel medio termine».

Un’inflazione sotto tono
Quando accadrà? Secondo le previsioni di marzo dei governatori, quest’anno la disoccupazione scenderà al 4,9-5,1%, al di sotto di quel livello “di lungo periodo” (5,2%-5,5%), che può essere considerato un obiettivo implicito della Fed. A dicembre queste proiezioni erano appena meno ottimistiche. L’inflazione sarà però molto più bassa del previsto. Quest’anno si fermerà allo 0,6-0,8% (a dicembre era indicato l’1-1,6%). Questo lascerebbe pensare a un rinvio della stretta, anche perché la crescita è ora indicata un po’ meno brillante (2.3-2.7% quest’anno e il prossimo, contro il 2,5-3% di dicembre). «Un calo dei prezzi all’importazione hanno anche contenuto l’inflazione - ha detto la presidente Janet Yellen in conferenza stampa -che , alla luce del recente apprezzamento del dollaro, continuerà probabilmente a essere frenata nei prossimi mesi».

Timori di una fiammata sui prezzi?
Le cose però non sono così semplici: l’inflazione può sfuggire di mano e diversi governatori Usa temono che questo possa accadare anche questa volta. La velocità dei prezzi dovrebbe tornare fino all’1-7-1,9% già nel 2016, molto presto quindi rispetto alla dinamica - per esempio - europea, e alcuni membri del comitato ora si aspettano per l’anno prossimo un’inflazione al 2,4%, in accelerazione rispetto alle precedenti stime e al di sopra dell’obiettivo del 2%. Niente di preoccupante ma questo significa che qualche “falco” sta diventando “più falco” di prima e vuole anticipare almeno l’inizio della stretta per lanciare ai mercati un segnale più forte. Nessun timore, invece, per l’inflazione finanziaria: i rischi alla stabilità finanziaria sono «moderati», ha detto la Yellen, anche se alcune quotazioni sono alte anche se non al di fuori dei range storici.

Mani libere per le prossime decisioni
Non è un caso allora, in questa situazione, se la Fed si sia mantenuta le mani libere sui tempi della prima mossa. Da oggi in poi sarà “data dependent”, come si dice nel linguaggio dei banchieri centrali: valuterà cosa accade e deciderà di volta in volta sulla base dei dati macroeconomici. «La Bce - ha detto la presidente - non può e non deve dare certezze sull’andamento dei tassi», un’idea che contrasta un po’, però, con l’orientamento delle banche centrali - Fed compresa - a fornire una forward guidance sulla politica monetaria.

Una stretta più lenta
Qualcosa però è davvero cambiato e probabilmente i mercati saranno meno concentrati sulla data della “prima volta” di quanto siano stati finora. La stretta, ormai è chiaro, potrà essere più lenta di quanto finora previsto. A dicembre quattro governatori si aspettavano tassi tra l’1,75% e il 2% a fine anno, oggi nessuno; nove si aspettavano tassi sopra l’un per cento, oggi solo quattro. Sono invece dieci a pensare che possano fermarsi tra lo 0,5 e l’un per cento, mentre erano solo sei a fine 2014. Analogamente, solo tre banchieri centrali pensano che nel 2016 il costo del credito possa superare il 3% mentre erano sei a dicembre, e solo sei credono che possa salire oltre il 2% mentre erano tredici alla fine dell’anno scorso.

Pesa il dollaro forte
È indubbio che abbia inciso sulle decisione anche il dollaro forte, salito del 27% da maggio a oggi, che fa temere una frenata della crescita e un rialzo dei tassi troppo brusco potrebbe solo peggiorare le cose. La Yellen ha precisato che l’apprezzamento della moneta Usa riflette la forza dell’economia Usa, quasi a voler confermare il consueto atteggiamento di benign neglect (“disinteresse benevolo”) verso i cambi - nessuna banca centrale vuole sfidare i tassi - ma l’andamento della valuta ha sempre un ruolo nella valutazione della situazione economica e delle condizioni monetarie: la presidente ha infatti ammesso che il rialzo è una delle cause per il rallentamento delle esportazioni e quindi della crescita.

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