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«L'Intifada diplomatica» ultima chance per i palestinesi

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dopo il voto in israele

«L'Intifada diplomatica» ultima chance per i palestinesi

“Serviremo il Paese dall'opposizione. Niente è cambiato, continueremo a lottare per una società giusta”, diceva questa notte Isaac Herzog, il leader laburista sconfitto. Herzog, Tsipi Livni e tutto il centro sinistra travolto dalla vittoria di Bibi Netanyahu, hanno un luogo politico dove andare: stare all'opposizione è più angusto che al governo, ma è sempre un posto.

Chi non ne ha alcuno sono i palestinesi dei Territori occupati. Non i “cattivi” di Hamas i quali continueranno con più determinazione di prima la loro lotta armata che affama gli abitanti di Gaza e impedisce la ricostruzione della striscia. Ma i palestinesi “buoni”, l'Autorità palestinese di Abu Mazen in Cisgiordania, Fatah, l'Olp, che invece hanno scelto la strada del dialogo. La scelta, già impopolare nell'opinione pubblica palestinese, non ha portato che un pugno di mosche ai negoziatori arabi. Ora c'è anche la promessa elettorale di Bibi sullo Stato palestinese che non nascerà mai finché lui è primo ministro: la vittoria elettorale e il tipo di maggioranza ultra-nazionalista che sta maturando, trasformeranno in certezza quella promessa elettorale.

Che fare, dunque, considerando che a Washington l'amministrazione Obama ha solo un anno e mezzo di tempo e poi potrebbero tornare al potere gli amici repubblicani di Bibi?

C'è naturalmente l'opzione suicida di Hamas che ora, con l'aiuto di Netanyahu diventerà più popolare di prima fra la gente della strada di Ramallah, Nablus, Hebron e Qalkilya. Ma non ha respiro, avrà successo solo per chi crede alla forza del millenarismo islamico.

La seconda via d'uscita è la terza Intifada, evocata già da un paio d'anni come un'Araba fenice. La seconda, dalla fine del 2000 durata per un decennio, è stata devastante per i palestinesi: centinaia di morti, migliaia di prigionieri, un'economia regredita di vent'anni, una generazione di possibili leader spazzata via.

Oggi i palestinesi della Cisgiordania sono più in gabbia di prima, chiusi fra insediamenti che si allargano e posti di blocco militari. Con le forze di sicurezza israeliane che entrano nelle città e nei villaggi quando vogliono per arrestare e perquisire, nonostante esista con le autorità palestinesi un accordo di collaborazione sulla sicurezza. I tentativi sporadici di singoli palestinesi che accoltellano per strada o investono israeliani alle fermate dell'autobus, sono i segni di un disagio pericoloso ma anche dell'assenza di una vera organizzazione.

Quello che ora hanno in mente i palestinesi è qualcosa di molto più pacifico che tuttavia gli israeliani temono più di un'Intifada alla quale saprebbero rispondere con la forza delle loro armi. Qualcuno a Ramallah le ha già dato un nome: “Intifada diplomatica”. Ora che hanno ottenuto un maggiore riconoscimento alle Nazioni Unite, i palestinesi possono accedere alle agenzie Onu e alla Corte internazionale di giustizia.
Il voto a favore dello Stato palestinese di quasi tutti i parlamenti europei, compreso quello dell'Unione a Bruxelles, ha principalmente un valore morale. Ma può diventare anche molto politico di fronte alle sistematiche violazioni di un governo israeliano di estrema destra che volesse aprire nuove colonie e accelerare sul l'ebraicizzazione di Gerusalemme Est, araba, già in atto.

L'arma più potente è il boicottaggio economico. Da tempo l'Autorità palestinese lo applica sui prodotti di consumo e chiede che lo faccia anche l'Unione europea. La Ue ha già delineato una legge in questo senso, preparandosi ad applicarla su tutti i beni israeliani prodotti negli insediamenti dei Territori occupati.

Qualsiasi cosa i palestinesi decidano di fare, è dolorosa: per gli israeliani e ancora più per i palestinesi. Ma una cosa sembra evidente. Se davvero il nuovo governo israeliano tradirà gli impegni internazionali, negando il diritto palestinese a uno Stato; se l'impresa delle colonie riprenderà a ritmi accelerati; se le città della Cisgiordania continueranno a restare dei piccoli banthustan di un apartheid sempre più evidente, qualcosa i palestinesi faranno. Nessuno rimane a guardare la fine dei suoi sogni, nemmeno i disperati della terra.

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