
Dopo la maratona di ieri tra Alexis Tsipras e Angela Merkel a Berlino - 5 ore di faccia a faccia terminato a mezzanotte - che ha abbassato il tono degli scontri verbali tra i due Paesi, resta il nodo delle riforme che Atene ha promesso ai creditori alla fine del mini-summit di tre ore svoltosi venerdì scorso a Bruxelles a margine del Consiglio europeo su Ucraina e Piano Juncker. La Grecia presenterà all'Eurogruppo entro lunedì prossimo la lista di riforme economiche che, se giudicata sufficiente dalle istituzioni europee, consentirà lo sblocco degli aiuti economici attesi da Atene.
Le privatizzazioni saranno probabilmente uno dei principali ostacoli tra Troika e Grecia, hanno riferito fonti da Atene, perché dovrebbero contribuire per 4 miliardi di euro al bilancio solo quest'anno. In passato, va ricordato, le privatizzazioni sono state completamente disattese da tutti i tre precedenti governi di Papandreou, Papademos e Samaras. Il governo Tsipras ora non vuole vendere beni dello Stato, anche se ha accettato, in linea di principio, di non bloccare le cessioni che erano state già avviate, come quelle cinesi del 66% del Porto del Pireo. Bloccata, invece, la messa sul mercato del 66% della società per la produzione dell'energia elettrica, Dei, e della società di trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica.
La riforma del sistema pensionistico è un altro punto critico, in cui l'Unione europea, Bce e Fmi sono preoccupati per i privilegi eccessivi ancora presenti in caso di prepensionamento e la necessità di collegare i benefici al sistema contributivo e non a quello retributivo. Si dirà, ma dopo cinque anni ci sono ancora di questi problemi? Sì, le riforme in Grecia sono avanzate con il contagocce e in mezzo a un mare di ostacoli di ogni natura, lasciando spesso tutto come prima.
In base all'accordo con il governo Samaras, la Grecia avrebbe dovuto approvare una legge di fusione dei fondi di previdenza complementare, un arcipelago di privilegi a carico delle finanze pubbliche, un'area colpita in passato anche da scandali su fondi pensione che avevano fatto investimenti spericolati. Tuttavia, il governo Tsipras resiste, perché comporterebbe un ulteriore taglio delle pensioni per molti greci, insomma un'altra stretta di austerità.
I creditori (la Troika), vogliono anche dei cambiamenti nel sistema dell'imposta sul valore aggiunto (Iva) per eliminare un tasso ridotto oggi vigente solo per le isole greche. La troika vorrebbe anche raddoppiare l'IVA per gli alberghi, potandola al 13%. Atene si oppone, però, perché dice che colpirebbe il turismo, il suo flusso principale di entrate che nel 2014 ha raggiunto il record di presenze.
Altre riforme chiave includono una legge fallimentare efficace per le persone fisiche e le società, allo scopo di rimettere in circolazione beni immobilizzati, ma Syriza si oppone alla messa all'asta della prima casa in caso di mancato pagamento delle rate del mutuo. Poi ci sono le leggi sui licenziamenti collettivi, un modo per risolvere rapidamente le controversie sindacali per gli aumenti salariali, e la liberalizzazione dei prezzi dell'energia a cui i nuovi ministri di Syriza si oppongono tenacemente.
Infine, la Troika o Brussels Group come ora si chiama, vorrebbe migliorare la riscossione delle imposte per migliorare gli introiti per il bilancio oggi in affanno per il calo delle entrate fiscali a causa di annunci dissennati del nuovo governo sul calo delle tasse sugli immobili. Atene ha 72 miliardi di euro di tasse arretrate, una montagna di imposte mai riscosse e che hanno provocato diseguaglianze sociali tra i pensionati e dipendenti da un lato (che hanno pagato) e gli autonomi dall'altro (che hanno generalmente evaso in massa, l'84% degli autonomi secondo studi dell'Fmi hnno dichiarato redditi inferiori al limite di esenzione). Limite portato dalla Troika a 5mila euro e che Syriza oggi vorrebbe riportare a 12mila euro. Un autogol pazzesco nella lotta all'evasione fiscale.
Il problema è che la Bce ha bloccato la possibilità di portare come collaterali i bond greci come garanzia per nuovi finanziamenti e ha concesso solo una fonte di liquidità di emergenza (Ela) con un tetto di 70 miliardi di euro in attesa che si giunga ad un accordo.
Ma Atene è a corto di soldi e ha poco tempo per scegliere tra le misure già concordate, oppure prepararne nuove che puntino su lotta all'evasione fiscale e corruzione, due bubboni che stravolgono la vita economica del Paese favorendo soprattutto gli oligarchi che in silenzio continuano a tramare nell'ombra contro i tentativi di riforma del nuovo governo, tra cui l'aumento delle licenze televisive, oggi praticamnete gratuite.
Atene avrebbe fondi per pagare pensioni e stipendi per due settimane al massimo, dice una fonte bancaria greca che vuole restare anonima.
Se invece Atene decide in fretta la lista di riforme e inizia l'attuazione delle modifiche, i 7,2 miliardi di euro di prestiti in stand by (tranche dei 240 miliardi di euro del piano di aiuti) potrebbero cominciare ad essere erogati gradualmente.
Questa è la vera chiave di flessibilità del negoziato. Se Atene mostra la lista e inizia ad attuare le riforme allora potrebbe arrivare il denaro; in caso contrario sarebbe l'inizio della Grexit, l'uscita dall'euro.
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