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Lubitz era affetto da tendenze suicide

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Europa

Lubitz era affetto da tendenze suicide

È un viaggio nel cuore di tenebra di una persona. E nell’imbarazzo di una nazione e di un sistema-Paese che hanno fatto della sicurezza e della riduzione degli imprevisti una ragion d’essere, un tratto distintivo, quasi un sinonimo: Germania uguale affidabilità, in politica interna e internazionale, e negli aspetti più o meno rilevanti della vita quotidiana. In più, un baluardo della privacy, protetta da leggi difficilmente sormontabili. Così, ogni nuova rivelazione su Andreas Lubitz è agghiacciante, suscita rabbia e incomprensione.

Del copilota che deliberatamente ha fatto schiantare l’Airbus di Germanwings sulle Alpi della Provenza uccidendo 149 persone, le fonti distillano un orrore quotidiano. Ieri si è saputo che ancora prima di prendere la licenza di volo era stato sottoposto a trattamento psichiatrico poiché affetto da tendenze suicide. La fonte è la procura di Düsseldorf ed è un’altra informazione sfuggita – tra le tante – al suo datore di lavoro. Lubitz aveva nascosto tutto a tutti dietro lo schermo della privacy medica, che in base alla legge tedesca non dà accesso ai datori di lavoro a eventuali cartelle cliniche e certificati dei propri dipendenti. Sta solo al medico curante, nel caso in cui ravveda gli estremi di un pericolo per la vita di terzi, contravvenire alle regole.

Il risultato è che Lufthansa, casa madre di Germanwings, non dispondeva di tutti quegli elementi che avrebbero certamente impedito ad Andreas Lubitz di volare. Una lista lunga, che va dal trattamento per depressione e attacchi d’ansia, per i quali aveva interrotto l’addestramento da pilota nel 2009, ai presunti problemi alla retina che gli avrebbero impedito una brillante carriera all’interno della compagnia aerea accrescendo la propria frustrazione, fino alle rivelazioni dell’ex fidanzata sulla frase profetica: «Un giorno compierò un gesto per il quale tutti ricorderanno il mio nome». Difficile a questo punto capire la posizione di Lufthansa e le possibili conseguenze per la società. Basterà la normativa tedesca, sulla base della quale non era tenuta a conoscere l’orrore in cui stava sprofondando la psiche di un suo dipendente, a limitarne la responsabilità? Secondo gli esperti interpellati dal Wall Stree Journal la compagnia tedesca potrebbe affrontare problemi legali non da poco: «La compagnia aerea ha una responsabilità illimitata, a meno che non possa provare di non aver commesso errori», ha detto al giornale americano Steven Marks, avvocato, esperto di aviazione per lo studio legale Podhurst Orseck.

Carsten Spohr, Ceo di Lufthansa, ha fatto fatica nei giorni scorsi a essere convincente quando ha ribadito l’orgoglio tedesco di sempre parlando dei sistemi di selezioni e addestramento: «I nostri piloti sono e continueranno a essere i migliori nel mondo». Resta però un buio costante nel rapporto tra l’azienda e il dipendente che ha portato alla morte i passeggeri dei quali era responsabile. Il Paese è comunque sconvolto, i media si interrogano sul mito dell’affidabilità, ma difficilmente riescono a farsene una ragione. In un lungo reportage sulla tragedia la Frankfurter Allgemeine Zeitung non nascondeva il disorientamento: «Chi avrebbe mai potuto immaginare che il nemico si sarebbe seduto alla cabina di pilotaggio e che un sistema di screening psicologico rigoroso come quello di Lufthansa, dove soltanto un candidato su quattro riesce a passare, si sarebbe rivelato inadeguato in questo caso?». Domande senza risposta. Per sintetizzare gesti simili i tedeschi utilizzano una parola di origine malese, Amok, furia omicida. Fa paura e rende superflua qualsiasi spiegazione.