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Putin sfida la crisi e le sanzioni: l’economia russa tornerà a crescere

«Ve lo dirò chiaramente: non ci sono truppe russe in Ucraina»: puntualissimo, allo scoccare di mezzogiorno ora di Mosca (le 11 in Italia), Vladimir Putin ha dato inizio a quella maratona televisiva che qualcuno addirittura definisce “epica”, tredicesima edizione. Se non fosse un evento accuratamente pilotato dal Cremlino, sarebbe un’occasione d’oro per tastare il polso alla Russia in piena crisi economica. Il tempo non manca: la “Linea diretta con Vladimir Putin” ha una durata media di quattro ore, tutte dedicate all’ascolto di richieste e lamentele in arrivo da ogni parte del Paese. Per un totale, quest’anno, di 3 milioni di domande. Ma lo spettacolo non è allestito per puntare il dito contro il Cremlino, quanto per trasferire le responsabilità di quanto è accaduto nell’anno altrove, preferibilmente all’estero. Dimostrando al Paese che il presidente ha comunque il pieno controllo della situazione. Anche se tossisce in modo insistente.

Si era preso due giorni di silenzio per prepararsi. Ma quest’anno la vera prova non è tanto la durata dell’evento, quanto la capacità di convincere. E infatti Putin si è subito lanciato nel tentativo di descrivere l’anno passato e i primi mesi del 2015 con indicatori economici positivi. Malgrado, lui stesso ammette, le circostanze: «ostacoli» che incidono sul ritmo di crescita della Russia. Eppure Putin «non vede niente di catastrofico» nel fenomeno della fuga di capitali, punta il dito sul risultato «senza precedenti» relativo alla costruzione di nuove case, sottolinea la stabilità del sistema bancario, guarda alla Borsa e al rublo in ripresa (spingendo in mattinata il dollaro sotto la soglia psicologica dei 50 rubli) e spiega che per la moneta russa il peggio è passato.

Ma soprattutto, il presidente russo scrolla le spalle di fronte alla parola sanzioni. Che non verranno abolite tanto presto, malgrado la Russia «stia facendo il possibile» per far rispettare gli accordi di Minsk. Le sanzioni ormai sono slegate dalla situazione in Ucraina, usate in modo strategico dall’Occidente «per ostacolare il nostro sviluppo». Eppure, nel giro di due anni la Russia potrà tornare a crescere.Questo perché Putin ritiene che «le sanzioni debbano essere usate, non subite». E diventare un’occasione per sviluppare meglio la produzione interna, costretta a sostituirsi alle importazioni. «La Russia non è l’Iran», dice Putin sottolineando la capacità dell’economia di diversificarsi.

Molto di più che in passato, le domande che lo attendono dovrebbero toccare nervi scoperti, e mettere alla prova la capacità dello Zar di fornire risposte soddisfacenti: tra quelle più “popolari” anticipate sul sito del Cremlino che le ha raccolte (moskva-putinu.ru) risaltano naturalmente i temi economici, la preoccupazione per l’aumento dei prezzi (a marzo l’inflazione ha raggiunto il +16,9%), per le pensioni, i posti di lavoro, la tenuta del rublo. E poi le sanzioni internazionali e l’impatto della crisi ucraina. «Le domande su temi di politica estera sono aumentate significativamente - aveva spiegato alla vigilia il portavoce, Dmitrij Peskov - e riguardano lo scontro con la Nato, con i Paesi occidentali». Pare che una delle richieste più pressanti riguardasse il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, nel Donbass: Putin dovrà scegliere se accoglierle, o più probabilmente servirsene per apparire più misurato di chi lo circonda, agli occhi della comunità internazionale.

Sul fronte estero, rispondendo a una domanda il presidente ha ripreso la controversa vendita di sistemi anti-missile S-300 all’Iran: bloccata nel 2010, rilanciata nei giorni scorsi con un suo decreto. Che Putin giustifica spiegando che lo scenario è cambiato, data la disponibilità dei partner iraniani a trovare un compreomesso sul proprio programma nucleare. Questo tipo di armamenti, ha detto ancora Putin, non appare inoltre nella lista delle sanzioni Onu sull’Iran, che dunque non vengono violate. Israele infine non ha nulla da temere, secondo il presidente russo, perché gli S-300 sono sistemi difensivi e non costituiscono una minaccia.

Buona parte della maratona è stata dedicata naturalmente alla crisi ucraina, presentata dai collaboratori di Putin come «la tragedia del nostro popolo fratello». Putin ha ripercorso la storia della crisi, dipingendola ancora una volta come «un fallimento non nostro, ma della politica interna ucraina». Lo scontento e la stanchezza della gente sfruttati dai nazionalisti. E se l’Occidente e il governo ucraino accusano Mosca di alimentare il conflitto nel Donbass, Putin ha scandito ancora una volta che in Ucraina non ci sono soldati russi, e che il Cremlino non interferirà, perché vuole pace sui propri confini. «Non distinguo tra russi e ucraini», ha detto.

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