Paulo Portas, è il vicepremier del governo portoghese ed è anche il leader del Partito popolare, il più a destra nella coalizione che sostiene il governo conservatore di Lisbona. Ma è soprattutto «un vero democristiano», dice in italiano mentre cammina tra gli stand delle aziende portoghesi arrivate al Salone del Mobile di Milano.
Stringe mani, sorride. Una foto e una buona parola per tutti. Non a caso lo chiamano Paulo de as feira, l'uomo del mercato, vicino alla gente. «La rinascita del Portogallo dopo la crisi pesantissima che abbiamo vissuto? Il nostro Paese - dice - è riuscito a cambiare, a rinnovarsi nella crisi, a fare riforme profonde. E poi, siamo stati di parola: dopo il bailout del 2011 i portoghesi, non solo il governo, si sono impegnati per rispettare gli accordi presi con la comunità internazionale, per rimettere sotto controllo i conti pubblici. Non è stato per niente facile ma ce l'abbiamo fatta: appena abbiamo potuto siamo usciti dal programma di aiuti previsto dal salvataggio internazionale. Senza chiedere altri supporti finanziari, con una saida limpa, un'uscita pulita. Questo ci ha permesso di riconquistare credibilità sui mercati e di ricominciare a guardare avanti». Giurista, giornalista, 52 anni, politico tanto intelligente quanto scaltro, Portas, guarda con «realismo» alle elezioni politiche che si terranno in autunno: «Il miglioramento dell'economia è evidente - spiega ma la gente ha sofferto molto, sono stati anni difficili. Vedremo». E intanto cerca di smarcarsi dagli alleati di governo, quei socialdemocratici conservatori del premier Pedro Passos Coelho, troppo compromessi, nel sentire comune, con le dure misure di austerity introdotte negli ultimi quattro anni.
Come ha fatto il Portogallo a riprendersi dopo aver rischiato il default nel 2011?
Tutto il Paese ha compiuto un enorme sforzo per raggiungere un risultato che non era per nulla scontato e anche nei momenti più difficili l'intera società portoghese non ha mai perso lo spirito di unità nazionale. Credo inoltre che il nostro governo si sia mosso con coerenza: dopo il bailout da 78 miliardi di euro, abbiamo rimediato ai nostri errori dimostrando di essere un Paese affidabile. La riforma del mercato del lavoro, la riduzione delle tasse, le liberalizzazioni in molti settori, sono state determinanti. Assieme al rigore di bilancio: dal 2010 il deficit è sceso da oltre l'11% al 3% che contiamo di raggiungere alla fine di quest'anno per uscire il prima possibile dalla procedura di infrazione comunitaria.
Come valuta oggi la linea del rigore che vi è stata imposta da Bruxelles?
Non avevamo alternative. Certo avrei preferito che le riforme fossero fatte per nostra iniziativa senza imposizioni. È inutile nascondere che il bailout e la successiva presenza della troika sono stati vessatori per il nostro Paese. Ma la nostra storia è totalmente diversa da quella della Grecia e anche le tensioni di questi ultimi mesi che si registrano ad Atene non ci preoccupano. Guardiamo avanti, con più forza di prima.
Vi siete rafforzati negli anni della grande crisi?
Siamo cambiati, nella mentalità. E nella crisi siamo stati costretti ad adattare la struttura economica alle esigenze della competizione globale. Prima della crisi le esportazioni valevano il 28% del nostro Pil, ora siamo saliti al 41% e credo che potremo raggiungere il 50% nei prossimi anni. Le nostre imprese erano troppo concentrate sul mercato interno, incluso quello comunitario. Abbiamo capito la necessità di esportare in Africa, in America Latina, nell'area del Golfo, in alcune zone dell'Asia. Qui al Salone del mobile siamo il secondo Paese espositore dopo l'Italia e le nostre aziende arrivate a Milano esportano oltre il 90% della loro produzione. Abbiamo guadagnato capacità di competere: più vendiamo fuori e più siamo forti dentro.
Il Fondo monetario ha appena rivisto al rialzo le previsioni sulla crescita del Portogallo. Voi che valore del Pil indicate per il 2015?
Il Fondo indica una crescita dell'1,6% nel 2015, lo stesso valore della Commissione Ue. Alcuni analisti indicano un aumento del Pil del 2 per cento. La stima ufficiale del nostro governo è dell'1,5 per cento. Ma ciò che conta è che la visione si è capovolta: nessuno ci chiede più quanto pesante sarà la recessione, tutti si domandano quanto potremo crescere.
Quali sono le prossime misure di sostegno all'economia che intendete introdurre?
Dobbiamo riuscire a sfruttare in pieno questa fase economica nella quale il cambio euro-dollaro, i prezzi del petrolio e la stabilità finanziaria garantita dalla Bce favoriscono la crescita della nostra economia. È nostra intenzione proseguire nella riduzione delle tasse alle imprese: siamo scesi in due anni dal 25% al 21% e l'obiettivo è togliere almeno altri due punti all'aliquota arrivando al 19 per cento. La fiducia delle imprese, mai così alta dal 2008, va alimentata: la fiducia si autoalimenta, la fiducia genera fiducia e crescita. Il Portogallo è diventato un posto migliore per fare business come dimostrano anche gli investimenti diretti dall'estero che sono cresciuti del 5,2% nell'ultimo anno.
Guardando alle elezioni di autunno, i sondaggi danno in testa i socialisti, oggi all'opposizione. Il miglioramento della situazione economica basterà a ribaltare il consenso a favore della vostra coalizione di destra?
La gente ha sofferto molto e la crisi è stata durissima. La disoccupazione dopo aver raggiunto il 17,7%, un livello senza precedenti, è in calo ma resta ancora molto alta, vicina al 14 per cento. Staremo a vedere. Di certo il Portogallo si sta riprendendo. E inoltre, da noi, al contrario di quanto vedo in Grecia o di quanto leggo sulla Spagna, la stabilità politica e la vocazione europea del Paese non sono in discussione.
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