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«Ucciso al-Douri», l’ultimo grande latitante del regime…

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«Ucciso al-Douri», l’ultimo grande latitante del regime di Saddam

Era l’ultimo grande latitante del regime di Saddam Hussein, già anziano - nato vicino a Tikrit nel 1942 - ma tutt’altro che fuori gioco: se l’uccisione a Salahuddin di Izzat Ibrahim al-Douri, rivendicata dalle milizie sciite, verrà confermata, si tratta di un duro colpo anche per lo Stato Islamico e la resistenza sunnita che si oppone al governo di Baghdad.

In questi due anni il Califfato ha dimostrato una grande efficacia militare nelle tattiche della guerriglia e nel reclutamento, ma la conoscenza del terreno gli è derivata soprattutto dall’esperienza terroristica di al-Qaeda e dal sostegno che ha avuto nei clan sunniti e negli ufficiali baathisti come Izzat Ibrahim al-Douri, ex vicepresidente e braccio destro di Saddam come il cristiano Tarek Aziz, che per oltre tre decenni hanno avuto in pugno l’Iraq e tutti i suoi segreti. Altrimenti in Iraq non cade nel giugno 2014 come un castello di carte una città di cinque milioni di abitanti come Mosul e non si mette facilmente sotto assedio Ramadi, come sta avvenendo in questi giorni, un centro strategico di 500mila abitanti, essenziale per il controllo del corso dell’Eufrate e dell’indomabile provincia di al-Anbar.

Il Baath e gli ex baathisti non erano certi finiti con la caduta nel 2003 del regime del raìs, sono sempre stati attivi, coltivando i rapporti con la popolazione sunnita, emarginata dopo l’ascesa al potere della maggioranza sciita, ma anche le relazioni che per decenni hanno avuto all’estero, persino in Siria, dove al-Douri si era rifugiato per qualche anno nonostante tra Saddam e gli Assad, alleati dell’Iran, il nemico storico di Baghdad, non corresse certo buon sangue.

Che i baathisti abbiano dato una mano importante allo Stato Islamico di Abu Baqr al-Baghdadi lo dimostra il messaggio caloroso rivolto ai jihadisti con cui nell’estate scorsa era riaffiorato alle cronache Izzat Ibrahim al-Douri, da un decennio imprendibile latitante tra Siria e Iraq. Ma perché estremisti settari come i jihadisti si sono fidati della collaborazione di al-Douri, esponente di un regime che fu comunque secolarista?

Questo è forse l’aspetto meno conosciuto e più interessante dell’ex gerarca che alla fine degli anni’90, durante una delle tante finte elezioni presidenziali irachene, si fece accompagnare dalla stampa a Tikrit, città natale di Saddam, dove aveva forgiato i legami con il raìs. In quella occasione fu più facile del solito avvicinarlo e al-Douri rivelò di essere assai religioso: ogni venerdì andava a pregare in una delle moschee più importanti della capitale e apparteneva all’Ordine dei Naqshbandi, una confraternita musulmana molto estesa, dall’Asia centrale alla Turchia alla Mesopotamia. Credenziali che in qualche modo lo devono avere reso affidabile anche gli occhi del Califfato.

Nel viaggio a Tikrit, al-Douri ricordò i suoi modesti inizi come operaio in una fabbrica di frigoriferi, l’amicizia di clan con Saddam, la sua partecipazione al colpo di Stato e alla rivoluzione baathista del 17 luglio 1968. Sorvolò naturalmente sul proprio ruolo nella terrificante repressione delle rivolte curde e sciite del 1991. Gli sciiti lo avevano nel mirino: tentarono di farlo fuori nel corso di una visita a Kerbala nel 1998, ci sono riusciti a quanto pare ieri in un’azione portata dal gruppo sciita Asaib Ahl al-Haq, guidato da Qais Khazali, ex seguace dell’Imam Moqtada Sadr. Ma in Iraq la resa dei conti con il passato e con un presente sanguinoso non è certo finita con l’uscita di scena dell’ultimo gerarca.

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