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CRISI DI LIQUIDITà

Grecia, count-down di Atene per il pagamento delle rate dei prestiti. In cassa solo due miliardi di euro

Reuters
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Pagare 5,5 milioni di pensioni e la pletora di stipendi statali o i crediti in scadenza rischiando il primo default della zona euro? In cassa ad Atene, secondo l’agenzia Reuters ci sarebbero 2 miliardi di euro, anche se il Governo di Atene ha smentito seccamente.

In ogni caso per il governo Tsipras si avvicina il momento della verità quando dovrà pagare crediti in scadenza per 2,5 miliardi di euro all’Fmi tra maggio e giugno e le due rate di bond della Bce da 7,5 miliardi tra luglio e agosto.

La prima voragine nelle casse sono le pensioni che, secondo gli ultimi dati Ocse disponibili relativi al 2009, pesavano per il 13% del Pil, rispetto all’11,34% della Germania mentre la spesa sociale complessiva, sempre dati Ocse 2014, pesavano per il 24% del Pil rispetto al 22% della ricca Norvegia. Per i disoccupati, al 26,5% della popolazione, la Grecia versa in indennità appena l’1,1% del Pil, contro lo 0,8% dell’Italia. Un welfare molto sbilanciato sul fronte delle prestazioni previdenziali e poco su quelle assistenziali.

Ma il problema della previdenza greca è che per anni ci sono stati abusi di massa, complici medici spesso compiacenti, conti in rosso cronici e investimenti internazionali sballati dei fondi pensione delle casse di previdenza speciali.

Tutte operazioni spericolate che hanno pesato sulle casse pubbliche e fatto lievitare il debito statale che infatti è al 172,9% del Pil.

Poco è valsa l’opera di recupero, su pressione della troika, di 10 miliardi di dollari iniziata qualche anno fa dall’Istituto delle assicurazioni sociali (Ika), paragonabile alla nostra Inps, che gestisce le pensioni per oltre 5,5 milioni di persone.

I tre governi che si sono succeduti dal 2009, Papandreou, Papademos e Samaras, hanno stretto per ben tre volte la spesa previdenziale, aumentando l’età pensionabile e riducendone la generosità delle prestazioni, passando dal sistema contributivo a quello retributivo.

Ma lo scorso agosto lo scontro tra l’ex premier conservatore, Antonis Samaras, e la troika si consumò proprio sul rifiuto dell’ex primo ministro di sforbiciare ancora una volta le numerose esenzioni che ancora esistono in materia previdenziale, distorsioni odiose in un momento in cui è stata abolita ad esempio la tredicesima mensilità per tutti i pensionati, anche quelli che incassano la “minima”.

Eppure Samaras si oppose alle richieste, conscio che sarebbe stato un errore che lo avrebbe perduto. Oggi, intanto, le pensioni elleniche raggiungono a stento il 50% dell’ultima retribuzione e sono calcolate sui contributi versati, un sistema che ha spinto molti dipedenti ad uscire dall’economia in nero.

Ma se le cose dovessero peggiorare cosa potrebbe fare il Governo Tsipras per affrontare la situazione di emergenza? L’esecutivo potrebbe emettere i cosiddetti Iou, letteralmente “I owe you” o “Io ti devo” per far fronte alle scadenze di cassa inderogabili come stipendi pubblici e pensioni, ed evitare le proteste di massa. Si tratta di forme di pagherò, cioè di promesse di pagamento fatte ai dipendenti statali e ai pensionati per una certa somma e entro una data prestabilita. Il dipendente o il pensionato che vuole incassare va in banca dove sconta la cambiale pagando una commissione se vuole incassarla prima della scadenza.

Questo escamotage consentirebbe di pagare sia i crediti internazionali in euro sonanti e stipendi e salari in Iou. Il problema è che se dovesse continuare la fuga di depositi dalle banche, a marzo giunti a 135 miliardi di euro rispetto ai 160 miliardi di dicembre, i “pagherò” si trasformerebbero nell’anticamera della dracma, cioè di una valuta parallela che perderebbe il 40% del suo valore rispetto all’euro.

Atene ha predisposto misure per accentrare la tesoreria rastrellando la liquidità dagli enti pubblici, enti statali, fondi pensione. Inoltre ha ritardato il pagamento dei fornitori. Ma resta il fatto che gli incassi fiscali sono diminuiti e il reddito delle famiglie è crollato dell’8,74% nel 2013 rispetto all’anno precedente, continuando una serie negativa iniziata nel 2009. Anche i risparmi delle famiglie sono crollati del 16% nel 2013 rispetto al 2012.

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