«Saigon è caduta: l'America scossa dalla sconfitta». Così titolava il “Corriere della Sera” all'indomani della resa del Sud Vietnam di fronte all'avanzata comunista il 30 aprile 1975, quarant'anni fa. Non abbiamo il titolo di “Repubblica”, che sarà fondata da Eugenio Scalfari nel gennaio del 1976, mentre “Il Sole 24 Ore” (che aveva raggiunto da poco il traguardo delle centomila copie vendute) a quell'epoca era essenzialmente un giornale di finanza e imprese.
Con un precipitoso ponte aereo verso le navi della Settima Flotta lasciano Saigon gli ultimi americani: partono con loro anche alcune migliaia di sudvietnamiti, “compromessi” con il passato regime di Nguyen Van Thieu. Una ingloriosa uscita di scena per gli Stati Uniti nel Sud-Est asiatico, simboleggiata dagli elicotteri che si alzano dai tetti dell'ambasciata Usa o dai palazzi vicini, con l'ambasciatore Graham Martin che tiene in braccio arrotolata la bandiera a stelle e strisce prima di salire sulla portaerei “Blue Ridge”. Intanto le truppe nordvietnamite e i “vietcong” (i guerriglieri del Sud Vietnam) occupavano la città, subito ribattezzata Ho Chi Minh, dal nome del carismatico leader comunista artefice dell'indipendenza nazionale, scomparso nel 1969.
In Vietnam gli americani persero 58 mila soldati, 300 mila i feriti, mentre i caduti del Nord e del Sud Vietnam furono circa 1 milione e mezzo; incalcolabile il numero delle vittime civili, che sarebbe persino più elevato di quello dei combattenti. Gli aerei e gli elicotteri Usa sparsero erbicidi e defolianti, non soltanto sulla giungla, ma anche sui campi coltivati che (secondo la Cia) fornivano cibo ai vietcong (che avevano comunque scavato una lunga serie di gallerie – il cosiddetto “Sentiero di Ho Chi Minh” - per trasportare con le armi anche le derrate alimentari). Negli Stati Uniti, anno dopo anno, la guerra era diventata sempre più impopolare e uno dei fattori scatenanti le contestazioni studentesche nei campus e i conflitti sociali e razziali. Anche in Europa, nel clima post-Sessantotto, il Vietnam, Mao Tse-tung, Che Guevara erano assurti a simboli planetari della mobilitazione delle giovani generazioni.
Il regime di Pol Pot in Cambogia
Nella vicina Cambogia, invece, la festa di popolo durò lo spazio di un mattino. Due settimane prima della caduta di Saigon i guerriglieri comunisti “khmer rossi” entravano da vincitori nella capitale cambogiana Phnom Penh, dopo anni di rivolte, colpi di stato e violenze etniche. Ma il nuovo regime di Pol Pot (durato fino al 1979), deciso a realizzare una forma di socialismo agrario ispirato allo stalinismo e al maoismo, fu particolarmente repressivo e spietato e fece uccidere almeno 1 milione e mezzo di cambogiani. Il nome inglese dei campi di lavoro e di sterminio – “Killing Fields” - sarà anche il titolo di un film del regista Roland Joffé (“Urla del silenzio” nell'edizione italiana), basato sulla vera storia di un giornalista del “New York Times” e del suo interprete cambogiano durante quel terribile periodo.
In Italia...
Nella primavera del 1975 l'Italia, lontana dal teatro della guerra nel Sud-Est asiatico, anticipa per legge la maggiore età da 21 a 18 anni e nelle elezioni amministrative di giugno il Pci di Enrico Berlinguer sale al 33,5%, con uno scatto in avanti del 5,5% rispetto al voto regionale del 1970, mentre la Dc registra un calo del 2,6%, pur confermandosi partito di maggioranza relativa con il 35,2% dei suffragi. Nel mese di aprile del 1975, dopo un iter legislativo di un decennio, il Parlamento italiano approva il nuovo diritto di famiglia che attua la completa parità tra i coniugi. E per lo sport il 23 marzo di quarant'anni fa Gustavo Thoeni, altoatesino di Trafoi, vince la sua quarta Coppa del mondo di sci alpino, battendo l'astro nascente svedese Ingemar Stenmark in un entusiasmante slalom parallelo a Ortisei in Val Gardena, davanti a migliaia di spettatori con un tifo da stadio.
La sconfitta dei francesi in Indocina
Riavvolgendo la bobina della storia del Vietnam, dobbiamo partire dal maggio 1954, quando le truppe francesi vengono sconfitte dai vietnamiti a Dien Bien Phu. Due mesi dopo, gli accordi di Ginevra sull'Indocina riconoscono l'indipendenza di Cambogia, Laos e Vietnam, che viene però diviso in due sulla linea del 17° parallelo (in teoria fino alle elezioni generali da tenersi entro due anni): al Nord la Repubblica democratica del Vietnam con capitale Hanoi, appoggiata da Urss e Cina popolare, al Sud un regime anticomunista con capitale Saigon, dove gli Usa prendono il posto della Francia, l'ex potenza coloniale. Ben presto comunque al Sud nasce un movimento di resistenza, che organizzerà la guerriglia con il sostegno e la partecipazione diretta del Vietnam del Nord.
L’escalation del conflitto
La morte di Kennedy nell'attentato del 22 novembre 1963 caricherà sulle spalle del suo successore Lyndon Johnson anche le scelte più difficili in Indocina. All'origine della drammatica “escalation” nel conflitto c'è l'incidente del golfo del Tonchino, avvenuto la notte fra il 2 e il 3 agosto 1964: due navi americane (che forse avevano varcato il limite delle acque territoriali nordvietnamite) vengono attaccate da tre torpediniere avversarie. Gli Stati Uniti per rappresaglia effettuano un raid aereo contro basi militari e depositi di carburante nel Vietnam del Nord. I bombardamenti aerei Usa a nord del 17° parallelo si intensificheranno dopo il febbraio 1965 e il corpo di spedizione americano arriverà a superare il mezzo milione di uomini nel 1967.
L’offensiva dei vietcong
A fine gennaio 1968 con l'offensiva del Tet (il Capodanno buddista, negli anni precedenti occasione di una tacita tregua d'armi) più di cento città del Sud vengono attaccate da ingenti forze nordvietnamite e vietcong, che – pur con un elevato numero di perdite umane - riescono a impadronirsi temporaneamente di Hué, l'antica capitale; a Saigon l'ambasciata Usa, considerata imprendibile, viene occupata per sei ore. In quel clima un generale sudvietnamita giustizia personalmente un guerrigliero vietcong catturato e la foto fa subito il giro del mondo. Negli Stati Uniti i grandi giornali e le reti tv a diffusione nazionale non si accontentano più di passare i comunicati stampa del comando Usa a Saigon. «Cosa diavolo sta succedendo in Vietnam? - sbotta Walter Cronkite della Cbs, il più famoso e influente “anchorman” – io pensavo che questa guerra la stessimo vincendo!». E l'opinione pubblica per la prima volta solleva interrogativi sull'opportunità dell'intervento in Vietnam.
Il massacro di My Lai
Il 1968 è anche l'anno di My Lai: il 16 marzo una compagnia di fanteria Usa uccide per un'atroce vendetta 347 civili vietnamiti, soprattutto vecchi, donne e bambini, in un piccolo villaggio a circa 800 km a nord di Saigon. Il massacro viene occultato dai vertici delle forze armate Usa, ma è scoperto e documentato da Seymour Hersh, un giornalista investigativo americano, che riceverà il premio Pulitzer per il suo libro “My Lai 4”. In Italia il volume è uscito nelle edizioni Piemme a distanza di trentacinque anni, nel 2005, dopo che Hersh aveva scoperto e denunciato anche le torture dei soldati americani sui prigionieri iracheni ad Abu Graib.
Nixon a Pechino
Nel febbraio 1972 c'è però la storica visita del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon a Pechino, preparata segretamente da Henry Kissinger, prima consigliere per la sicurezza nazionale e poi segretario di Stato. Dopo gli incontri con il presidente cinese Mao Tse-tung e il primo ministro Chou En-lai, per Washington «la guerra del Vietnam era diventata solo un elemento di disturbo secondario e perciò da togliere di mezzo nel quadro di una più ampia trama diplomatica», scrive Ennio Di Nolfo nella sua ponderosa “Storia delle relazioni internazionali dal 1918 ai giorni nostri”, pubblicata da Laterza.
Il cessate-il-fuoco negoziato da Kissinger
Il compromesso per il cessate il fuoco in Vietnam, negoziato a Parigi da Kissinger e dal rappresentante nordvietnamita Le Duc Tho e firmato il 27 gennaio 1973, prevedeva il ritiro di tutte le truppe Usa e la restituzione dei prigionieri di guerra e la conferma del 17° parallelo come linea di demarcazione fra i due Stati. «Ma era un accordo debole – aggiunge Di Nolfo – rispetto alla cui applicazione non esistevano vere garanzie». Durante tutto il resto del 1973 e il 1974, invece del cessate il fuoco ci fu la continuazione della guerra senza gli americani. Il 1974 è anche l'anno delle dimissioni di Nixon, travolto dallo scandalo Watergate e sostituito dal suo vice Gerald Ford. Con l'inizio del 1975 scattò l'offensiva finale dei nordvietnamiti e dei vietcong fino alla capitolazione di Saigon.
Il Vietnam oggi
Il Vietnam riunificato ha mantenuto nella Costituzione il ruolo guida del Partito comunista, pur avendo rinunciato al marxismo-leninismo e riconosciuto la proprietà privata. Dalla metà degli anni '90 si sono normalizzati i rapporti commerciali e diplomatici con gli Stati Uniti. Nel 2013, alla veneranda età di 102 anni, è morto il generale Vo Nguyen Giap, che costrinse alla ritirata i francesi nel 1954 e gli americani nel 1975, ma che anni dopo ospitò amichevolmente ad Hanoi Robert McNamara, capo del Pentagono sotto i presidenti Kennedy e Johnson (a sua volta McNamara arriverà a dichiarare «ingiusta» la guerra in Vietnam).
Oggi il Vietnam registra un aumento del Pil del cinque-sei per cento l'anno. Il settore turistico è in forte crescita, sostenuto da ingenti investimenti pubblici, i visitatori arrivano soprattutto da Cina, Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Francia. L'anno scorso a Ho Chi Minh City ha aperto anche il primo ristorante McDonald's, gestito da Henry Nguyen (genero del primo ministro comunista Nguyen Tan Dung), che aveva imparato da adolescente a girare gli hamburger in un fast food negli Stati Uniti. Il 45% dei quasi 90 milioni di vietnamiti usa internet (citiamo “The Economist” di due settimane fa), più o meno la stessa percentuale della Cina: twitter è accessibile, ma non viene abitualmente utilizzato in Vietnam, mentre Facebook è il sito web più visitato, davanti al motore di ricerca Google.
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