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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2015 alle ore 20:09.
L'ultima modifica è del 06 maggio 2015 alle ore 20:13.

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Sullo sfondo della lunga trattativa che la Troika sta conducendo con la Grecia c’è un implicito messaggio all’Italia. Scritto in tedesco ma con traduzione simultanea anche in italiano, suona più o meno così: chi non rispetta le regole che ci siamo dati può essere sbattuto fuori dall’euro. Il corollario è che l’espulsione dal “mini-club” della moneta unica non si traduce automaticamente nell’uscita dal club allargato, cioè dall’Unione, che significa prima di tutto mercato unico.

Dal punto di vista giuridico questo approccio è una novità non di poco conto. I trattati, infatti, non dicono nulla sull’uscita di uno Stato membro dall’Eurozona mentre regolano l’uscita dall’Unione: per lasciare l’euro si deve uscire anche dalla Ue. In un’altra materia, la libera circolazione delle persone, è quello che è accaduto con la Gran Bretagna: quando David Cameron ha ipotizzato di bloccare l’immigrazione dagli paesi della Ue, Angela Merkel lo ha subito stoppato. “Se non rispetti questa regola, sei fuori da tutto” gli ha fatto sapere la cancelliera tedesca, anche se avrebbe dovuto farlo Bruxelles.

Ebbene, nella Commissione europea (il “guardiano dei trattati”) sta cercando di farsi spazio, sulla spinta della componente conservatrice europea e tedesca in particolare (il riferimento politico è Wolfgang Schaeuble), una “corrente di pensiero” che partendo dal caso greco vorrebbe scrivere ex novo una norma che consenta a un Paese di lasciare l’euro restando nell’Unione a 28. Se questa manovra andasse in porto sui conti dell’Italia ci sarebbe un elemento di pressione in più. Nessuno, infatti, e men che meno la Germania, ha interesse a buttar fuori dal mercato unico un partner con 60 milioni di consumatori e 250mila imprese industriali. Ma dall’euro si.

La Grecia è solo... il cavallo di Troia. E Roma è avvertita.

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