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L'orgoglio della Russia e il nastro di San Giorgio, simbolo della rivolta a Kiev

Gli aerei dei dignitari stranieri stanno allineati sulla pista dell'aeroporto di Vnukovo, mentre la tv scandisce con enfasi ogni arrivo: il presidente venezuelano Nicolas Maduro, il kazako Nursultan Nazarbajev, il mongolo Tsakhiagiin Elbegdorj...e soprattutto, il presidente cinese Xi Jinping con l'elegante signora Peng. Ospiti d'onore, con cui il Cremlino ha subito siglato diversi interessanti contratti alla vigilia del 9 maggio, il giorno della Grande Parata militare sulla Piazza Rossa. La più imponente che si ricordi: tra l'altro, accanto ai 15mila soldati russi ha sfilato anche un contingente cinese. Ma tutto questo gran parlare di Cina non ha fatto che mettere ancor più in risalto le assenze: i leader di Canada, Australia e Stati Uniti, e il blocco europeo con l'eccezione di Grecia, Repubblica ceca, Cipro. Perfino il bielorusso Aleksandr Lukashenko ha disertato. Cose note ormai, a ben più di un anno dall'inizio della crisi ucraina che si rovescia sul palco d'onore davanti al Mausoleo Lenin. Eppure, a guardare i veterani, a ricordare attaverso le parole di Vladimir Putin il sacrificio di milioni per proteggere l'Europa dal nazismo, ad ascoltare le note dell'inno russo, l'assenza dell'Ucraina è la più visibile di tutte.

Ma quest'anno Kiev, con il presidente Petro Poroshenko, si è allineata ai tempi europei, dove è l'8 maggio l'anniversario della resa incondizionata dei nazisti, l'8 maggio 1945 a partire dalle 23.01: a Mosca, per la differenza di orario, era già il 9. Né in Ucraina si parlerà più come in Russia di “Grande guerra patriottica”, ma di “Seconda guerra mondiale”. Non sono scelte indolori per l'Ucraina: per il contributo di sangue dato alla difesa dell'Urss, per le accuse di collaborazionismo con i tedeschi che macchiano il fronte dei nazionalisti. Ma ora, per onorare i caduti del conflitto sul petto di Poroshenko è appuntato un papavero rosso, invece del nastro di San Giorgio arancione e nero, divenuto il simbolo della rivolta a Kiev per i separatisti di Donetsk e Luhansk.

Quel nastrino invece è onnipresente a Mosca, che da mesi vive nell'attesa di questo 70° anniversario con un'enfasi inedita, proprio per contrapporre la grandezza e l'orgoglio della Vittoria all'isolamento attuale. Per “attribuire alla Russia - come scrive lo studioso Michel Eltchaninoff nel suo “Dans la tête de Vladimir Poutine” - una sorta di superiorità morale nelle relazioni internazionali”. Qualcosa su cui Putin ha sempre insistito, Eltchaninoff ricorda le parole del presidente russo alla parata del 2012: “Noi abbiamo un immenso diritto morale, quello di difendere le nostre posizioni in modo deciso e durevole. Perché è il nostro Paese che ha subìto il peggio dell'offensiva nazista e ha offerto la libertà ai popoli del mondo intero”. Con il nastrino di San Giorgio sul petto, nel sole della Piazza Rossa Putin ha ripetuto il concetto anche quest'anno: “Siamo orgogliosi, perché proprio i nostri padri e i nostri nonni hanno potuto sopraffarre, circondare e distruggere questa forza oscura...l'Unione Sovietica ha preso su di sé i colpi più duri del nemico, la sua potenza militare era concentrata qui”.

Putin non ha mancato di ringraziare Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti per “il contributo” dato alla Vittoria. Ma poi, con in testa gli Stati Uniti, ha criticato ancora una volta “i tentativi di creare un mondo unipolare”, ignorando i “principi di base della cooperazione internazionale”. Davanti a lui sfilavano le truppe, i veterani ma soprattutto il meglio delle ultime produzioni militari russe.La ragione per cui né Poroshenko né i leader europei avrebbero potuto essere presenti: quegli stessi carri armati, accusano, sono stati a Donetsk e Luhansk, in terra ucraina.Qualche anno fa, scrive ancora Eltchaninoff, “non si poteva sospettare che la retorica tradizionale che oppone il soldato liberatore dei popoli al fascista, sarebbe riapparsa per giustificare l'intervento russo in Ucraina”.

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