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Macedonia, la paura di una guerra «etnica» torna nei Balcani

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dOPO I 22 MORTI DI SABATO e domenica

Macedonia, la paura di una guerra «etnica» torna nei Balcani

I violenti scontri di sabato e domenica in Macedonia, a Kumanovo nel nord del Paese non lontano dal confine con il Kosovo, hanno fatto riemergere nella regione balcanica paure che sembravano essere state sconfitte da anni, almeno dal 2001, quando toccò alla Nato intervenire per far cessare il conflitto tra le forze governative e gli insorti di etnia albanese e religione musulmana. Skopje rischia di precipitare nel caos politico, tra gli scandali che coinvolgono il governo e le nuove tensioni che emergono tra le diverse etnie.

Questa mattina si sono dimessi i ministri dell’Interno, Gordana Jankulovska, e delle Comunicazioni e dei Trasporti, Mile Janakieski, oltre al capo dei servizi segreti Saso Mijalkov. Sarebbero stati sacrificati dal premier Nikola Gruevski nel duplice tentativo di smorzare le polemiche sugli scontri di Kumanovo e arginare le proteste sulle intercettazioni abusive che lo stesso governo avrebbe commissionato su migliaia di cittadini.

Gli scontri violenti di Kumanovo

La guerriglia andata in scena a Kumanovo preoccupa la comunità internazionale e i leader dei Paesi vicini. L’Unione europea, la Nato e l’Onu hanno lanciato un appello per far cessare ogni violenza chiedendo al governo di Skopje di fare chiarezza sulla vicenda. Mentre il Kosovo ha dato piena disponibilità a collaborare per evitare qualsiasi escalation violenta.

Le immagini arrivate sabato dalla Macedonia settentrionale si sovrappongono inevitabilmente a quelle del 2001 quando per sei mesi l’esercito macedone fronteggiò i ribelli albanesi che reclamavano maggiori diritti per la loro minoranza. E andando a ritroso la memoria torna alla guerra in Kosovo, alle colonne di profughi albanesi in fuga verso Sud, ai bombardamenti degli aerei occidentali su Belgrado, nell’ultima coda, era il 1999, delle Guerre Balcaniche che già avevano portato alla dissoluzione della Jugoslavia.

A Kumanovo in un fine settimana di guerra fuori tempo, tra le forze di polizia inviate dal governo di Skopje e un gruppo di uomini armati, sono state uccise 22 persone: otto poliziotti e 14 sospetti terroristi. Mentre altri 37 agenti sono rimasti feriti. Secondo la versione ufficiale del governo di Skopje, si è trattato di un’operazione di antiterrorismo conclusa con successo. Il premier macedone, il conservatore Nikola Gruevski, ha ringraziato le forze di polizia «che sono riuscite a neutralizzare uno dei gruppi armati più pericolosi della regione balcanica», «un gruppo armato di una quarantina di uomini ben addestrati, che hanno partecipato ad altre operazioni armate nella regione e in Medio Oriente», «un nucleo eversivo che si stava preparando ad attaccare i palazzi delle istituzioni, i centri commerciali, a colpire durante gli eventi sportivi, con l’obiettivo di destabilizzare la Macedonia».

La versione di Gruevski, premier in carica da nove anni, sarebbe confermata da un documento diffuso dai media macedoni con il quale alcuni gruppi estremisti dell’'indipendentismo albanese, compreso l’Esercito di liberazione del Kosovo, l’Uck protagonista del conflitto armato con la Serbia a fine anni Novanta, avevano annunciato «l’inizio di un’offensiva per l’instaurazione della Repubblica di Illiria» e una nuova guerra «da iniziare il 12 maggio».

Le accuse dell’opposizione

Ma il drammatico attacco di Kumanovo è giunto in una fase di grave crisi politica della Macedonia, nella quale le manifestazioni contro il governo conservatore sono quotidiane e l’opposizione socialdemocratica chiede le dimissioni del premier Gruevski, accusato di abuso di potere per aver ordinato intercettazioni su oltre 20mila cittadini, in prevalenza politici, giornalisti e diplomatici. E sono in molti nelle fila dell’opposizione, come tra gli osservatori internazionali, a pensare il terrorismo c’entri poco con quanto successo a Kumanovo, e che invece il governo possa aver attuato una manovra diversiva per coprire gli scandali a pochi giorni dalla grande manifestazione di protesta annunciata dall’opposizione per domenica prossima. Una manovra che alimenta la confusione in un Paese di due milioni di abitanti nel quale la convivenza tra le diverse etnie presenta ancora tensioni latenti con frequenti provocazioni e incidenti tra gli albanesi-musulmani che rappresentano quasi il 30% della popolazione e la maggioranza slava-macedone di religione cristiano-ortodossa. «La coincidenza è sospetta. È difficile non pensare a un collegamento tra il momento politico e i fatti di Kumanovo», dice Florian Bieber, esperto dei Balcani dell’Università di Graz in Austria. «Ciò non esclude che si sia trattato di un attacco terroristico, ma suggerisce - aggiunge Bieber - che il governo possa aver avuto un qualche ruolo: il partito di governo è l’unico a trarre un chiaro vantaggio dagli scontri». Con le dimissioni di due ministri di peso e con quelle dell’intelligence il governo di Gruevski mostra i primi segni di cedimento. «L’opposizione sente l’odore del sangue, le pressioni perché anche il premier si dimetta diventeranno sempre più insistenti», dice Tin Kapetanovic, analista politico di Teneostrategy.

Il caos politico

In attesa di ulteriori sviluppi a Skopje, nella regione torna la paura per un possibile allargamento delle violenze. Il segretario generale della Nato, Jens Steltenberg ha chiesto «a tutte le parti in campo di mantenere la calma ed evitare qualsiasi ulteriore escalation nell’interesse del Paese e dell’intera regione». Il primo ministro del Kosovo Isa Mustafa, che pure ha rinviato una visita in Macedonia prevista nei prossimi giorni, si è detto pronto «a una stretta cooperazione tra la sua polizia e la polizia della Macedonia nel chiarire le circostanze che hanno portato all’inaccettabile e ingiustificabile situazione» e ha sottolineato che il Kosovo darà il suo contributo «per prevenire ogni escalation», perché «non c’è ragione perché ci sia un’estensione delle violenze ai Balcani e all’Europa». La fase politica che la Macedonia sta attraversando è, in ogni caso, molto difficile e per certi versi imprevedibile. Gli scandali che coinvolgono il governo e il ritorno delle violenze tra le diverse etnie sono problemi profondi mai risolti che rendono ancora più impervio il percorso che Skopje con grande lentezza sta cercando di compiere per entrare a far parte dell’Unione europea e per raggiungere i livelli di benessere delle economie occidentali.

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