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Tokyo studia l'adesione alla Banca Aiib promossa dalla Cina

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Asian Infrastructure Investment Bank

Tokyo studia l'adesione alla Banca Aiib promossa dalla Cina

TOKYO – È un dilemma lacerante su cui il Giappone pondera da mesi. La decisione è stata posticipata, ma non sono in pochi a ritenere che, alla fine, Tokyo troverà il modo di aderire all'Aiib (Asian infrastructure investment bank), la nascente Banca asiatica per le infrastrutture promossa dalla Cina. Se il Partito Liberaldemocratico (Ldp) del premier Shinzo Abe è diviso in merito, è anche vero che varie circostanze depongono in favore della prospettiva che il Giappone – saltato un giro: quello dei membri fondatori – non resti alla finestra della nuova istituzionale multilaterale.

Anzitutto, Tokyo è rimasta isolata tra gli stessi alleati degli Stati Uniti nel rifiuto iniziale: in Europa, dopo che il Regno Unito a sorpresa è stato il primo ad aderire, gli altri Paesi si sono affrettati a partecipare, Italia compresa. Anche Corea del Sud e Australia hanno ritenuto di non dare soverchio peso ai segnali di contrarietà provenienti da Washington verso la prima vera sfida al sistema internazionale poggiante su Fmi, Banca Mondiale e Asian Development Bank (Adb, a guida nippo-americana).

Su piano politico, poi, appare importante che, durante la recente visita del premier giapponese Shinzo Abe negli Usa, il presidente Obama abbia recisamente negato che gli Usa si oppongano all'Aiib, pur ripetendo il ritornello sulle preoccupazioni relative alla governance e alla trasparenza. In terzo luogo, si è manifestata una “marcia di avvicinamento” dell'Adb, che ha proposto di collaborare con la nuova istituzione (oltre ad aver deciso di aumentare la propria dotazione). Sul piano teorico, poi, non c'e' nessuno che neghi che l'Asia abbia bisogno di ingenti fondi per le infrastrutture, che la stessa Adb stima in 8mila miliardi di dollari in questo decennio.

Se i più “nazionalisti” nel partito liberaldemocratico temono che l'Aiib diventi uno strumento per proiettare le ombre cinesi sull'intero continente e che una partecipazione minoritaria non possa ostacolare questa prospettiva, varie voci autorevoli si sono levate, dentro e fuori il partito, per sottolineare come l'adesione corrisponda a un interesse strategico nazionale giapponese. Il responsabile degli esteri dell'Ldp, Kenya Akiba, si è già detto favorevole.
Yoichi Funabashi, autorevole presidente della Rebuild Japan Initiative Foundation, da tempo fa una campagna per la partecipazione del suo Paese, in base a una logica chiara: visto che l'Aiib, distribuendo assistenza finanziaria, finirà per contribuire in modo significativo a forgiare l'architettura economica della regione – e quindi, implicitamente, quella della sicurezza – sarebbe dannoso per Tokyo restarne fuori; quanto alla questione della governance, l'unica possibilità di influenzare le regole della nuova Banca sta ovviamente nel farne parte.

“Il modo migliore per proteggere gli interessi nazionali non è snobbare le iniziative regionali cinesi, bensì contribuire a calibrarle – afferma Funabashi, secondo cui questo tipo di progetti – incanalando il dinamismo cinese in cornici multilaterali focalizzate sull'economia – possono procedere indipendentemente da tensioni di altro tipo (ad esempio quelle relative al Mar Cinese Meridionale ed orientale) e agevolare l'emergere di “relazioni piu' collaborative” con Pechino. Del resto, ormai vari esperti americani, anche relativamente “falchi”, sono giunti alla conclusione che non sia produttivo opporsi a iniziative cinesi incanalate in un format istituzionale multilaterale; ad ogni modo, dopo le “defezioni” di quasi tutti gli alleati degli States, converrebbe fare buon viso a cattivo gioco.

La partita riguarda in modo diretto non solo le relazioni di Tokyo con Pechino, ma anche quelle Tokyo-Washington: il governo nipponico aveva respinto le lusinghe cinesi (a Tokyo era stato offerto, secondo le rivelazioni del Nikkei, il posto di numero due della Aiib) anche perché temeva che il vero obiettivo di Pechino fosse quello di piazzare un cuneo tra i due alleati e danneggiare le relazioni del Giappone con gli Usa. L'ideale, secondo Funabashi, sarebbe a questo punto che le trattative multilaterali di libero scambio TPP (che escludono la Cina e sono imperniate su Tokyo e Washington) giungessero a una sollecita conclusione, il che favorirebbe una adesione contemporanea all'Aiib sia degli Usa sia del Giappone.

Alla fine, si ha la sensazione che, come in altri casi, gli oltranzisti che circondano il premier Abe finiscano per danneggiare gli interessi del Paese per questioni di forma: a loro brucia troppo che, con l'eventuale adesione all'Aiib, per la prima volta il Giappone si ritroverebbe in una posizione subordinata in Asia; anche se – anche loro - da 70 anni hanno accettato che il Paese non possa essere il numero uno al mondo, resta davvero dura riconoscere di non essere (più) i primi nel continente.
Le indiscrezioni segnalano che a fine giugno Tokyo prenderà la decisione, in corrispondenza alla “deadline” per la contribuzione di capitale all'Aiib. Un rapporto preliminare è stato compilato già a inizio aprile, con la previsione di un contributo iniziale fino a 1,5 miliardi di dollari. E all'inizio del mese prossimo il ministro delle Finanze Aso dovrebbe incontrarsi con il collega cinese per discuterne: sarà il primo incontro a questo livello da oltre tre anni.

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