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L’AVAMPOSTO MILITARE

Dai cieli al cyberspazio: così l’«e-Estonia» si difende dall’Orso russo

ÄMARI (Estonia) - Il rombo dei motori annuncia il decollo di un caccia britannico. È l’unico sussulto in una tranquilla e assolata mattina di fine maggio nella base Nato di Ämari, Estonia settentrionale. Una quiete che fa somigliare questo avamposto militare immerso nella foresta e “ereditato” dall’Unione sovietica a una Fortezza Bastiani di letteraria memoria, se non fosse che – a differenza dei Tartari di Buzzati – qui il nemico appare una presenza costante: sono i Tupolev e gli altri apparecchi russi che, nel 2014, hanno violato otto volte lo spazio aereo estone, alimentando i timori della piccola repubblica baltica di fare la fine della Crimea o dell’Ucraina orientale.

«Nel 2015 – spiega il capitano Luuri Kuusekänd, responsabile della sorveglianza aerea della base – finora non abbiamo registrato violazioni: spero che sia l’effetto della deterrenza Nato e non sia solo la quiete prima della tempesta…». Quello che però si è verificato anche quest’anno, almeno una cinquantina di volte, sono gli allarmi legati alla rilevazione di aerei russi senza piani di volo o con il transponder spento, con l’effetto di non essere visibili e identificabili. Qui li chiamano “safe incidents”, ma hanno già rischiato di causare scontri o incidenti veri, nell’aerea baltica e anche nello spazio aereo scandinavo. Errori o provocazioni russe? Il capitano non ha dubbi: «Stanno mettendo alla prova la Nato».

Ämari (insieme alla lituana Šiauliai e alla polacca Malbork) è una delle tre basi su cui, da maggio 2014, è imperniata la Baltic Air Policing della Nato, la missione con cui l’Alleanza atlantica dal 2004 supporta Estonia, Lettonia e Lituania (prive di capacità di difesa aerea), monitorando lo spazio aereo sul Mar Baltico: un confine sensibile tra Occidente e Russia, divenuto ancora più caldo dopo la crisi ucraina. Sono coinvolti 16 caccia, forniti a rotazione dai Paesi membri (Italia compresa, con 4 Eurofighter Typhoon in forza alla base di Šiaulai).

Attualmente ad Ämari ci sono quattro aerei britannici, coadiuvati da elicotteri estoni. Non molti rispetto ai 50-60 bombardieri che la base ospitava quando faceva parte dell’Unione sovietica e fino al 1994, tre anni dopo l’indipendenza dell’Estonia: un tempo tecnico necessario a Mosca per smantellare l’installazione. «Quattro è un numero minimo», chiarisce però ancora il capitano Kuusekänd. E nella base, che ospita circa 190 persone, per lo più militari estoni, si svolgono importanti esercitazioni; senza contare che - da quando ne ha preso possesso - l’Alleanza ha investito parecchio per riqualificarne le strutture, vista anche l’importanza strategica che attribuisce ad Ämari.

Per Tallinn l’ombrello della Nato è una rassicurazione fondamentale di fronte a quella che, anche se non sempre viene ammesso esplicitamente, appare la minaccia dell’espansionismo russo. La copertura aerea tuttavia non basta alle autorità estoni, come pure la forza di reazione rapida che l’Alleanza ha varato nel vertice tenuto in Galles nel settembre scorso: 5mila uomini in grado di schierarsi a difesa di un Paese membro attaccato nel giro di 48 ore. Il governo vorrebbe più truppe Nato costantemente sul territorio, anche se evita di sbilanciarsi sull’uso delle parole: «Non entriamo nel merito del dibattito sugli aggettivi (presenza “continua” o “permanente”, che l’accordo di cooperazione Nato-Russia del 1997 vieterebbe, ndr)», chiarisce Paul Teesalu, direttore del Dipartimento politico del Ministero degli Esteri. «Quello che chiediamo è una presenza maggiore degli attuali 150 uomini».

Tra le preoccupazioni di Tallinn non c’è però soltanto la minaccia “reale” di un’invasione o di un attacco militare. Negli anni il Paese ha investito molto nella digitalizzazione, trasformandosi – come dice il termine coniato dal marketing politico-commerciale – nella e-Estonia: una realtà in cui il 100% delle scuole e delle organizzazioni governative ha il computer, l’80% delle famiglie ha accesso al pc e praticamente tutto si fa online, con la carta di identità elettronica o con lo smartphone: dalle attività di tutti i giorni – tasse, pagamenti bancari, prescrizioni mediche – al business. Una grande opportunità, ma anche un rischio di fronte alla minaccia di cyberattacchi, sperimentato sulla propria pelle dagli estoni nel 2007 quando, durante uno scontro con Mosca per la ricollocazione di statue e tombe di epoca sovietica, il Paese fu paralizzato da un attacco informatico.

Ecco allora che Tallinn ha messo a punto le sue contromisure, come spiega Andres Kutt, ex ingegnere di Skype “promosso” poi a “chief architect” dell’authority informatica estone, responsabile cioè dell’architettura digitale del Paese: «Prima di tutto i nostri registri elettronici e database non possono essere violati con una singola azione di hackeraggio, ma richiedono la decrittazione di diversi elementi; poi un vero e proprio esercito di specialisti (affiancato da volontari) si prepara costantemente a fronteggiare un eventuale attacco, mettendo a punto un sistema di reazione rapido». Infine – ed è la soluzione più interessante – è stato elaborato un ingegnoso meccanismo di difesa: la cosiddetta “continuità digitale” garantita dalle ambasciate, reali e “virtuali”, il trasferimento cioè di server e dati strategici (o copie di backup) negli edifici diplomatici all’estero o in piattaforme cloud.

«La continuità dello Stato e di tutti i servizi, che non passano più per la carta, deve essere garantita. Perciò i nostri dati e i nostri sistemi operativi – continua Kutt – sono criptati e custoditi anche nelle nostre ambasciate: così, se qualcosa dovesse andare storto, avremmo un’estensione virtuale del Paese». La nazione, insomma, potrebbe essere invasa o annientata da un cyberattacco alle sue strutture centrali, ma continuerebbe a esistere anche altrove. In questo caso è una fortezza intangibile. Forse è meno suggestiva di un avamposto militare, ma per l’e-Estonia non è meno strategica.

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