Tanto tuonò che piovve: dopo l’inchiesta sulla Fifa partita dagli Usa, gli scandali e gli arresti, il presidente Joseph Blatter si è dimesso. Lo ha annunciato ieri in una conferenza stampa a Zurigo. Un vero e proprio coup de théâtre che in pochissimi si aspettavano. «Amo la Fifa più di ogni altra cosa e voglio fare il meglio per la Fifa e il calcio», ha scritto nella nota di dimissioni (ne pubblichiamo a parte uno stralcio). A quattro giorni dalla sua conferma, Blatter lascia: «Malgrado sia stato appoggiato in queste elezioni, l’appoggio non sembra essere condiviso da tutti nel mondo del calcio: per questo offro la mia rinuncia. Prendo questa decisione per ripulire l’immagine della Fifa. Che, a fronte di sfide che non si fermano, ha bisogno di un profondo rinnovamento». Quel rinnovamento che da anni gli chiedeva il mondo del calcio, colpevole però di non essersi mai reso protagonista di un vero rinascimento.
Blatter esce di scena: non avrebbe potuto sostenere il coinvolgimento del suo numero 2 Jérôme Valcke nello scandalo partito dagli Usa, dove lo stesso Blatter non mette piede dal 2011 temendo un mandato di cattura. Nel 2008 il numero due della Fifa era stato informato dalla Federazione sudafricana di calcio dei 10 milioni di dollari da girare sul conto controllato dal presidente della Concacaf, la Confederazione nord e centro americana. Carta canta, o meglio mail canta, è il 4 marzo 2008: ed è la prova che la Fifa sapeva e ha mentito.
Per ora, il coinvolgimento di Valcke non è stato formalizzato in un’incriminazione ma sembra abbastanza improbabile che il braccio destro (Blatter) non sapesse quel che faceva il sinistro (Valcke).
Il presidente dimissionario ha detto che continuerà a esercitare le sue funzioni fino alla prossima elezione. La Fifa ha in agenda il congresso per il 13 maggio 2016 a Città del Messico, ma Blatter ha spiegato che «è troppo lontano e che creerebbe inutili ritardi. Esorto il Comitato esecutivo ad organizzare un congresso straordinario per l’elezione del mio successore alla prima occasione».
Si chiude un’era. Finisce la presidenza Blatter, un regno lunghissimo iniziato l’8 giugno 1998 e vissuto fra grandeur e scandali, fra milioni di dollari e Paesi portati all’altare di Mondiali complicati, a partire da quello in Sudafrica. Un regno con un unico uomo al comando, un po’ dittatore, un po’ «Belzebù», come lo aveva apostrofato Pelè. Un uomo dal sorriso sornione e dalla gran capacità di tessere amicizie e trame. Con una mano dava questo arzillo 79enne, già colonnello dell’esercito svizzero, e con l’altra prendeva voti, che gli garantivano la poltrona e quindi la possibilità di altri milioni da dividere, tanto alla Fifa il voto delle Figi vale quanto quello del Brasile. Quel gran genio, non solo in campo, di Maradona aveva capito tutto dieci anni fa: «La Fifa? È una mafia. Mi fa schifo vedere Blatter e constatare che l’obiettivo della Fifa non è quello di organizzare un Mondiale prestigioso ma di fare soldi».
Molte le reazioni. Michel Platini, presidente Uefa, ha salutato la decisione di Blatter definendola «coraggiosa e difficile»; per Luis Figo, già canditato alla presidenza Fifa: «il cambiamento è finalmente arrivato»; per il principe Ali bin al Hussein, avversario di Blatter, «una mossa giusta». Tutta la geopolitica del calcio nelle dichiarazioni di Greg Dyke, presidente della Football Association inglese («Possiamo tornare indietro e riparlare di questi 2 ultimi Mondiali, ma se fossi il Qatar non mi sentirei tranquillo») e di Mosca («Le sue dimissioni arrivano come una sorpresa»).
Ma è proprio vero che Blatter esce di scena o sta comprando tempo? «Dal momento che non mi ricandiderò - ha scritto sempre nel documento -, adesso sono libero dai vincoli di un’elezione e sarò in grado di concentrarmi sulle profonde riforme». Ma le riforme, visti gli ultimi 17 anni della Fifa, è meglio che le faccia un volto nuovo, giovane, pulito che vuole il bene del calcio. Prima che piova a catinelle di nuovo.