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L’altra Grexit: così Atene ha perso 200mila talenti in cinque…

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LA CRISI EUROPEA

L’altra Grexit: così Atene ha perso 200mila talenti in cinque anni

La Grexit è già iniziata. E non si parla dell'uscita di Atene dall'euro, ma della fuga dei greci dal proprio paese. Secondo Endeavor Greece, organizzazione per il sostegno dell'imprenditoria, Atene ha perso più di 200mila professionisti dall'inizio della crisi ad oggi. Più che una “fuga di talenti”, un'emorragia che sta svuotando il paese di tutto il suo capitale umano di under 35 e profili di medio-alto livello, dalla scienze informatiche alle medicina. Con proporzioni da emergenza sociale: le migrazioni sono cresciute del 300% solo tra il 2008 e il 2013, con un ritmo che non si è – ovviamente – arrestato man mano che la telenovela delle trattative fra Atene e creditori entrava negli ultimi risvolti. Il peggio sembra lontano dall'essere passato, perché all'appello mancano ancora i 35mila studenti greci iscritti in un'università all'estero e l'impressionante quota del 46% (praticamente uno su due) di connazionali che sta “considerando” di trasferirsi il prima possibile.

La metà in Germania e Regno Unito. Un milione di posti polverizzati
Dove scappano, i giovani greci incalzati dalla crisi? Il 71% resta all'interno dell'Europa, a seconda del fabbisogno professionale dei singoli paesi. L'ironia, che tale non è, vuole che il 50% del “brain drain” di Atene si indirizzi su Germania e Regno Unito, rispettivamente sede della Bce e altro ospite in bilico dell'Eurozona. Berlino sta facendo incetta di medici, Londra assorbe nelle sue istituzioni finanziarie i migliori laureati in discipline economiche. Il resto si smaltisce al di là dei confini Ue, dai profili high tech assunti negli Stati Uniti ai talenti dal ramo ingegneristico reclutati con contratti stellari nel Medio Oriente.
Alle spalle, d'altro canto, c'è un mercato del lavoro che fa impallidire i numeri (da allarme) del Sud Europa. È la stessa indagine di Endeavor Greece a spiegare che il paese ha bruciato quasi 1 milione di posti di lavoro nell'arco di sei anni: 953.874, per la precisione, un quinto di quelli che si registravano nel 2008. Alcuni settori ne sono usciti decimati, come le costruzioni (persi 232.262 posti di lavoro, il 60%), la manifattura non agroalimentare (206.493, -50%) e il retail (179.610, -21%).

La scure “sproporzionata” sul lavoro giovanile
La scure più robusta si è però abbattuta sul lavoro giovanile, colpito in maniera «sproporzionata» rispetto alle cifre generali: sui circa 950mila posti di lavoro polverizzati dalla crisi, 532.125 appartenevano ad under 35. Il 55%, una percentuale che scavalca la naturale distribuzione anagrafica una popolazione di appena 11 milioni di persone. Come è stato possibile? L'interpretazione di Endeavor Greece è che la regolamentazione del lavoro in Grecia abbia favorito gli occupati di età più avanzata, facendo sì che la «distruzione del lavoro» colpisse con più violenza i giovani. In altre parole, la debole rete sociale per gli occupati si è dispiegata solo sui professionisti in età matura e ha tagliato fuori tutto quello che veniva dopo. Un cortocircuito spietato, che ha colpito al cuore le professioni più identificate con gli anni del “sogno greco” come l'avvocatura, la finanza e la medicina. Per farsene un'idea, basta sfogliare i dati della ricerca per le tre categorie. Nel ramo legale, mentre si creavano 5.300 posizioni, il mercato del lavoro giovanile ne perdeva 15.100; nelle banche, la timida generazione di 3.600 posti di lavoro per over 40 corrispondeva a un crollo di 12.100 posizioni per gli under 40; nelle professioni sanitarie, il calo generale 2.900 posti di lavoro si allargava a 13.300 solo per i camici bianchi più giovani.

Più laureati (e più disoccupati) dell'Italia
D'altro canto, il livello di istruzione permette ai giovani greci di guardarsi intorno con le stesse credenziali dei cugini italiani, francesi e spagnoli. Il 37,5% della popolazione dai 25 ai 34 anni è in possesso di un titolo universitario o comunque post secondario, appena sopra la media Ocse dell'Europa a 21 paesi (37%) e ben oltre il 22% registrato in Italia. Per i talenti in uscita dalle università nazionali, e a maggior ragione estere, non si tratta di fuga ma di sopravvivenza in un sistema che ha bruciato tutti i terreni di coltura per le nuove generazioni. Andreas Pantazatos, co-direttore del centro di Etica del Patrimonio Culturale alla Durham University (Regno Unito) e ricercatore in Filosofia nello stesso ateneo, spiega che la Grecia ha prima «creato un certo numero di cittadini capaci di contribuire all'economia e allo sviluppo futuro» grazie a un sistema universitario a costo zero, poi sottratto qualsiasi «motivazione e contesto» perché quelle stesse risorse potessero intervenire. Risultato? Da un lato meno ritorni per il fisco e per il pagamento delle pensioni, come è noto. Dall'altro, la depressione sociale scaturita dalla «mancanza di una risorse di idee per supportare un nuovo modello economico, rinvigorire lo sviluppo nell'istruzione e rinfrescare la produzione artistica e culturale» dice Pantazatos.

Georgios, dalla Grecia all'Arabia Saudita: tornerei, ma è impossibile
Ne sa qualcosa Georgios Vlasios Kormpas, 32 anni, coordinatore didattico alla Al Yamamah University (Arabia Saudita). Georgios insegnava lingua inglese in una prestigiosa università greca, prima che la crisi rendesse impraticabile il suo lavoro: professori «sottopagati o pagati in ritardo», iscrizioni in caduta libera e sempre meno ore di lezione. Il trasferimento in Arabia, nel 2012, è stato dettato prima di tutto dall'urgenza di far quadrare le spese. Il crescendo che si è creato dopo è un'altra faccia della stessa medaglia, la valorizzazione retributiva incagliata tra crisi e austerity. «La mia carriera è esplosa perché ho un profilo altamente qualificato e ho raggiunto dei buoni risultati. Io vorrei tornare sempre in Grecia, ma sembra difficile e frustrante. Opterei per un trasferimento professionale solo se mi offrissero lo stesso stipendio e gli stessi benefit che mi garantiscono qui» racconta al Sole 24 Ore. Il “se” è d'obbligo, perché Georgios sa «per certo» che non godrebbe delle condizioni presentategli dal ricco sistema di istruzione saudita. Qualche speranza c'è, appesa al tira e molla delle negoziazioni con l'Europa. Georgios si dice favorevole alla strategia di Alexis Tsipras e alla scossa di cambiamento che potrebbe assestare ai «modelli arcaici» dell'Unione Europea. Neppure a dirlo, una questione generazionale: «Io lo supporto. Non voglio dire che è perfetto, ma è uno shock e un colpo ai regimi della vecchia Europa».

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