Per i 56 milioni di turchi che oggi vanno alle urne la religione gioca un ruolo tutt'altro che marginale. Questo voto è stato presentato come una sorta di referendum su Recep Tayyip Erdogan, che in un recente comizio in Anatolia ha sollevato davanti a migliaia di persone una copia del Corano: nessun presidente turco dalla fondazione della repubblica voluta da Ataturk aveva mai compiuto un gesto simile.
Le sue citazioni coraniche si sono fatte sempre più frequenti, accompagnate da spiccate tendenze autoritarie, al punto che sui giornali si parla di “Putinizzazione dell'Islam”. I due leader per altro hanno ottimi rapporti personali benchè tutto li divida: Putin è persino stato alle commemorazione del centenario del genocidio armeno e sostiene Bashar Assad in Siria, ma gli interessi economici sui gasdotti, la realpolitik e uno stile di governo simile li accomunano.
La Turchia non è più il Paese secolare fondato da Kemal Ataturk sulle ceneri dell'Impero Ottomano?
L'Akp discende da un ceppo islamista, quello del Milli Gorus, è nato dalle spoglie del partito religioso di Necmettin Erbakan (esautorato dai militari come premier nel 1998) ma si è distinto fin dalla sua fondazione nel 2001 per posizioni molto differenti da quelle dell'islamismo turco “tradizionale”, in particolare per il suo appoggio alla democrazia, al libero mercato e all'integrazione della Turchia in Europa.
Si è sempre dibattuto aspramente tra chi riteneva che l'Akp fosse un esempio di Islam politico democratico - fino a parlare di un “modello turco” per il Medio Oriente in occasione delle “primavere arabe” – e chi pensava che il partito mirasse in realtà all'islamizzazione del paese, fingendo soltanto di aderire agli ideali democratici.
In una prima fase del potere, Erdogan e il suo partito hanno accettato lo status quo laico di cui si facevano garanti i militari, senza proporre leggi su questioni sensibili come quella del velo. Anche in politica estera Erdogan, da primo ministro, si era distinto per le tendenze europeiste, intrattenendo buone relazioni con Israele. È stato il conflitto del 2007 con i militari e l'establishment laico sull'elezione di Abdullah Gul alla presidenza a segnare una seconda fase.
Dopo le travolgenti vittorie elettorali ed essersi assicurato che i contropoteri laici -l'esercito e la Corte costituzionale - non fossero più in grado di nuocere al suo potere, Erdogan ha messo mano alla legislazione che più sta a cuore allo schieramento filo-islamico, in particolare per due punti cruciali: il velo e il sistema educativo. Il governo Akp ha rimosso il bando sui foulard islamici per le studentesse universitarie e successivamente anche per le impiegate pubbliche e le studentesse delle superiori: una mossa denunciata come islamista dall'opposizione. Nella pubblica istruzione è stato potenziato il sistema educativo religioso - le famose imam hatip - eliminando le penalizzazioni per l'accesso degli studenti all'università.
In questo periodo Erdogan ha aperto il conflitto con l'influente movimento del predicatore Fethullah Gulen, che fino agli eventi di Gezi Parki nel 2013 aveva sostenuto il governo, approvando leggi controverse come quella che impone restrizioni sulla vendita e il consumo di alcolici. In politica estera il governo Akp si è distinto per l'appoggio ai partiti filo- islamici emersi dopo le rivolte arabe, in particolare in Egitto, e alle milizie islamiste impegnate nella guerra civile siriana.
Ed ecco qualche cifra sull'islamizzazione della Turchia: dal 2002 a oggi gli studenti delle scuole religiose imam hatip sono passati da 65 mila a un milione, le moschee da 76mila a 86mila, in tre anni il personale del Diyanet, il direttorato degli Affari religiosi, è cresciuto del 45%, il bilancio è raddoppiato e il suo capo, Mehmet Gormez, è entrato nell'empireo del cerimoniale turco passando dal 55° al decimo posto.
Ma questi numeri non dicono tutto. In un recente studio su un campione di studenti universitari dal titolo significativo “Una vita sospesa tra due mondi”, emerge che la gioventù turca vive una religione in bilico tra due universi culturali: quello laico e quello religioso. In Turchia -e forse anche queste elezioni lo diranno - la partita tra secolarismo e Islam è tutt'altro che finita.
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