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Che cosa c’è dietro il conflitto tra istituzioni

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stato regioni e migranti

Che cosa c’è dietro il conflitto tra istituzioni

Chissà cosa avrebbe risposto Roberto Maroni capo dei prefetti (vale a dire ministro dell’Interno) al Roberto Maroni Governatore della Lombardia, impegnato a intimare proprio ai prefetti di non accogliere più immigrati?

La domanda naturalmente è retorica e Maroni fa bene a esercitare con il massimo dell’efficacia, anche propagandistica, i ruoli istituzionali che via via ha l’occasione di ricoprire. Ma non è retorico il conflitto istituzionale che si è aperto.

Tecnicamente l’azione della Lega si potrebbe considerare eversiva, soprattutto se l’atto formale della lettera portatrice della dialettica tra poteri si accoppia all'invito fatto da Matteo Salvini di assaltare le prefetture con tanto di elenco di telefoni e indirizzi dati in pasto ai social network perché ne facciano strame e stalking.

Propaganda, si dirà, propaganda colorita e border line, come sempre per i “fazzoletti verdi”.

Ma non è solo questo. Il flusso di mille sbarchi al giorno ripropone il “bilanciamento dei drammi” tra l’angoscia di chi approda e l’ansia di chi deve accogliere. La cui soluzione non può che essere europea, di un’Europa solidale e lungimirante (che purtroppo non si vede ultimamente). È chiaro che questo flusso deve preoccupare ma la razionalità fatica a imporsi al populismo perché altrimenti farebbe presa l’argomento che spiega come la Lombardia ospiti ad oggi 60 profughi ogni 100mila abitanti, il Veneto 50, la Liguria 80 contro i 270 della Sicilia o i 240 della Calabria (dati diffusi da Lavoce.info).

L’ansia da sbarchi, reale perché i centri disponibili sono al completo e ospitano circa 73mila migranti, è aumentata e dilatata dalla polemica politica ad uso mediatico ed elettorale e ciò crea il contesto ottimale per camuffare i conflitti istituzionali ai limiti della sovversione. E il discuterne sembra pretesa da oziosi nostalgici dei bilanciamenti democratici. E non hanno cittadinanza le evidenze empiriche che ci parlano di una richiesta fatta dal Viminale di 80 posti supplementari per provincia.

Nè ha cittadinanza l’evidenza secondo cui i migranti non rappresentano il pericolo di sottrazione di lavoro, ma semmai anche un’opportunità.

er la gestione delle attività di accoglienza e per l’apporto diretto di denaro dello Stato e per il cospicuo indotto (tanto cospicuo da aver ingolosito anche la criminalità organizzata come dimostrato dall’inchiesta Mafia Capitale).

Ciò che invece attecchisce, giorno dopo giorno, in silenzio, è la secessione di fatto. Una sorta di “fase 2” della strategia leghista che va ben oltre le felpe del suo nuovo leader. Ed è opera della Lega in doppiopetto. Non più proclami secessionisti ad uso delle pittoresche adunate di Pontida – certe parole chiave sembrano andate in archivio –, ma un obiettivo da perseguire con precisi atti formali, portatori di un conflitto istituzionale sempre più esplicito, sempre più alto.

L’idea che un Governatore di Regione possa diventare interlocutore dei prefetti, rappresentanti del Governo centrale sul territorio, è un assurdo, così come lo è immaginare che la Regione possa bloccare l’eventuale incentivo deciso dal Governo centrale per i Comuni più generosi nel farsi carico dei migranti. Ma contribuisce a creare quell’allure di nuovo potere “paritario” all’istituzione regionale che, in fondo, è l'obiettivo di sempre del Carroccio. E va ben oltre i pasticciati confini istituzionali disegnati dalla riforma del Titolo V.

E tanto è vero questo, che quella “parità” è stata sancita in modo formale proprio per il successo del lavoro di lobby politica della Lega in occasione della creazione della cosiddetta Euroregione delle Alpi.

È di queste ore il via libera formale dell’Europa al riconoscimento di questo nuovo livello istituzionale che raggruppa 48 regioni di sette Stati, dalla Savoia alla Slovenia, passando per Germania, Austria, Svizzera (novità europea), Liechtenstein per un totale di 70 milioni di abitanti cui Maroni annette grande importanza.

L’obiettivo originario ha una sua ragion d’essere perché propone azioni di sviluppo sostenibile, coordinamento nell’uso dei fondi europei, connettività e accessibilità comune a tutta la macro-area. Ma da subito emerge chiara, nella declinazione lombarda, la volontà di rimarcare e favorire la “comune identità” culturale e la “forte tradizione di autonomia” delle aree alpine. Ed è questo il lato che più interessa alla Lega che tra l’altro rivendica per la prima volta l’approccio “paritario” nella definizione dell’euro-area alpina tra Regioni e Stati. Ed è da questa nuova, inedita, base giuridica che la Lega intende costruire una nuova interlocuzione istituzionale tra Regioni ed Europa, saltando il livello nazionale. Sono in gioco alcune destinazioni di fondi europei per piani strategici su energia, reti, ambiente e infrastrutture. E nelle intenzioni della Lega sono anche il primo passo per rivendicare l'antico sogno della gestione “localizzata” della fiscalità. Tutto ciò diventa prezioso munizionamento concreto per gestire discutibili derive verso “scontri di civiltà” o “crociate identitarie”. E magari per arrivare, prima o poi, alla messa in discussione dell’euro così come è ora, obiettivo antico del Carroccio che, agli albori della moneta unica – come ricorda sempre con forte disappunto Carlo Azeglio Ciampi – aveva in animo di creare il doppio euro e di agganciare alla nuova moneta solo la “parte bavarese” dell’Italia, cioè il Nord, e per questa via arrivare alla secessione monetaria.

Sarebbe una ben strana eterogenesi dei fini se una iniziativa europea di aumento della coesione interna finisse per diventare il primo vero grimaldello istituzionale per dare muscoli alla fola delle secessione.