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SI AVVICINA IL «GAME OVER»

Accordo, default, uscita dall’euro: i tre possibili finali del poker greco

  • –dal nostro corrispondente

BRUXELLES - Le ultime mani di un gioco a poker sono quelle in cui si scopre il bluff del giocatore. Per il premier greco Alexis Tsipras il momento è arrivato. Nei prossimi giorni dovrà decidere il destino suo e del suo Paese, scoprire le carte nel negoziato con la Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea. Sono tre in ultima analisi le possibilità: accordo dell'ultimo minuto con i creditori, in modo da strappare nuovi aiuti finanziari in cambio di nuove promesse di politica economica; mancato rimborso dei prestiti a Fmi e Bce; uscita del Paese dalla zona euro.

1) Accordo dell’ultima ora che sblocca gli aiuti
La prima possibilità è quella più favorevole per un Paese ormai oberato da un debito pubblico superiore al 180% del prodotto interno lordo. Nei prossimi giorni, la Grecia riesce trovare una intesa dell'ultimo minuto con i suoi creditori, ottenendo nuovi indispensabili aiuti finanziari. In ballo ci sono 7,2 miliardi di euro di nuovi prestiti, legati al memorandum in scadenza alla fine di giugno. I nodi di questi giorni, dopo quattro mesi di difficilissime trattative sono noti: tra questi vi sono gli obiettivi di finanza pubblica, la revisione del diritto del lavoro, la riforma del sistema pensionistico. A meno di una improvvisa e inaspettata sintonia tra le parti, è più probabile - se una intesa ci sarà - che questa sarà di breve termine: il tentativo disperato di chiudere una partita politica ed economica pericolosissima, superare l'estate, e riaprire il negoziato per una soluzione di più lungo termine in autunno. Non è da escludere che, pur di trattenere la Grecia nell’area euro, la cui uscita potrebbe mettere a rischio l’irreversibilità dell’Unione monetaria, i Paesi creditori accettino una riduzione del valore del debito greco in loro possesso.

2) Niente accordo, default, ma la Grecia resta nell’euro
La seconda possibilità è che le parti non trovino un accordo nei prossimi giorni o che lo trovino troppo tardi per ottenere nuovo denaro europeo (in alcuni paesi, a partire dalla Germania, serve il via libera del Parlamento per sbloccare i fondi). Il rischio è che la Grecia, in evidente crisi di liquidità, non riesca quindi a rimborsare i prestiti internazionali in scadenza in queste settimane. Entro fine mese, il Paese deve 1,6 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale. In teoria il mancato rimborso dovrebbe significare fallimento. Ciò detto vi sono state in passato proroghe nei rimborsi internazionali. Per di più, l'agenzia di rating Standard & Poor's ha spiegato lunedì che vi è insolvenza solo quando il governo non rimborsa creditori privati. Il mancato pagamento di prestiti al settore pubblico non equivarrebbe dunque a un fallimento. L'insolvenza, in ogni caso, non significherebbe necessariamente l'immediata uscita della Grecia dalla zona euro. Il paese potrebbe continuare a sopravvivere con l'aiuto esterno, ma sarebbe molto probabilmente chiamato ad adottare controlli per evitare la fuga dei capitali.

3) Uscita della Grecia dall’euro
La terza eventualità è quella più drammatica. L'uscita della Grecia dalla zona euro potrebbe avvenire per via del mancato pagamento di un prestito internazionale, a cui si assocerebbe l'impossibilità di raccogliere denaro a breve termine attraverso l'emissione di titoli di Stato da parte del governo di Atene. Un'altra possibilità è che l'uscita avvenga per colpa delle banche. Oggi gli istituti di credito sono tenuti a galla dalla Banca centrale europea. Ma fino a quando Francoforte potrà accollarsi questo impegno soprattutto in un contesto in cui i bilanci delle banche greche peggiorano giorno dopo giorno? Dal novembre 2014, si calcola che le banche greche abbiano perso il 23% dei loro depositi. Nei due casi, crisi di una banca o chiusura dei mercati, il governo dovrebbe creare una qualche forma di valuta parallela per il pagamento di pensioni e stipendi. La nuova dracma avrebbe inevitabilmente un valore assai più basso dell'euro e provocherebbe un fortissimo aumento dell'inflazione e della disoccupazione, non dissimile da ciò che avvenne negli anni 20 in Germania.

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