Le vicende di queste ore ad Atene riportano alla memoria i fotogrammi della crisi cipriota del marzo 2013, una situazione che partì dal default delle due maggiori banche dell'isola e che costrinse il governo ad applicare il controllo dei capitali. A Nicosia il governo decise in emergenza, in attesa di un accordo da 10 miliardi di euro con la troika di porre limiti di prelievo fino a un massimo di 300 euro al giorno dai conti correnti sia con le carte di credito sia con gli assegni e per chi si voleva recare all'estero non poteva portare con sé più di 5mila euro per ogni viaggio fuori dai confini nazionali.
Gli assegni non poterono essere depositati sull'isola ma solo depositati su conti correnti. Alle imprese cipriote venne consentito l'uso di questo mezzo di pagamento con più ampiezza anche se dovevano giustificare tutte le operazioni superiori ai 200mila euro. I depositi a termine non poterono essere toccati prima della scadenza e le banche dell'isola rimasero chiuse per due settimane, dal 16 marzo al 28 marzo 2013. La decisione di imporre i controlli di capitale venna presa dal governo cipriota dopo consultazioni con la Commissione Ue, l'Fmi e la Bce. In altre parole, ricorda un report di UniCredit redatto da due economisti, Marco Valli e Tullia Bucco, «il controllo dei capitali non può essere imposto contro la volontà della nazione coinvolta».
Ma ci sono due differenze fondamentali da tenere presente tra la crisi cipriota e quella greca , spiegano i due economisti di uniCredit. La prima riguarda il fatto che la crisi greca è «sostanzialmente una storia di debito sovrano mentre le banche erano relativamente in buona salute». A Cipro, invece, «le due maggiori banche del paese erano insolventi e il debito sovrano si trovava in una situazione precaria». Un'altra differenza riguarda il fatto che «il governo greco è stato, «fondamentalmente ostile al “consensus di Bruxelles” delle politiche economiche, mentre le autorità cipriote, al contrario, hanno implementato con successo il programma di salvataggio, in stretta cooperazione con la Troika».
Ma c'è di più. Le cose sembrano avere uno sviluppo un po' diverso per la Grecia. Questa volta, la Bce sta cercando di evitare qualsiasi “interferenza” con i negoziati politici, sottolineando il ruolo della banca centrale come basato su regole istituzionali. Probabilmente, la solvibilità delle banche greche e il fatto che i termini “politici” nella timeline greca non sono così vaghi come erano a Cipro, questo aiuta la Bce a giocare un ruolo più neutrale. Pertanto, la Bce, è ora in grado di rispondere agli sviluppi politici, piuttosto che a dover prendere l'iniziativa per risolvere una situazione di stallo politico. In definitiva, questo pone il destino dell'ELA alle banche greche strettamente dipendente dalle decisioni politiche.
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