Mondo

Kobane, il fronte anti-Isis paga le sue divisioni

  • Abbonati
  • Accedi
analisi

Kobane, il fronte anti-Isis paga le sue divisioni

In marzo hanno perso Tikrit, città natale di Saddam Hussein, ma hanno conquistato in maggio Ramadi, strategico capoluogo della provincia irachena di al-Anbar, roccaforte sunnita del Paese. Davanti all'eroica resistenza delle forze curde hanno abbandonato in gennaio Kobane, importante città siriana ai confini con la Turchia, per poi riconquistarla (almeno una parte) oggi.

Definita forse troppo precipitosamente la Stalingrado dell'Isis, Kobane ha nuovamente rivisto le bandiere nere del Califfato sventolare sui tetti di alcuni suoi quartieri. Un lugubre messaggio di quanto potrebbe avvenire nelle prossime settimane. I curdi ricordano ancora con grande dolore quei 112 giorni di occupazione dell'Isis, quando nella loro città furono uccise 1.400 persone, in buona parte civili.

L'Isis appare come un'idra, un serpente dalle molte teste, o come un'araba fenice pronta a risorgere dalle proprie ceneri. L'errore che la Comunità internazionale, e soprattutto gli Stati del Golfo Persico impegnati a combatterlo, hanno finora fatto è stato quello di perseverare a credere che lo Stato islamico sia solo un manipolo di qualche migliaio di estremisti fanatici la cui fine, se non imminente, è ineluttabile.

È ormai trascorso un anno da quando il califfo Abu Bakr al Baghdadi proclamò la creazione di uno Stato islamico a cavallo tra le piane desertiche della Siria nordorientale e l'Iraq nordoccidentale. In pochi mesi, dal giugno all'agosto del 2014, le sue milizie riuscirono poi a conquistare un territorio esteso quanto la Gran Bretagna. Una dopo l'altra le grandi città cadevano sotto la loro ferocia, prima fra tutte Mosul, poi Tikrit, fino a numerosi centri minori. E quando, il 13 ottobre, dopo una serie di conquiste territoriali nella regione irachena di al-Anbar, le forze dell'Isis presero anche la città di Hit, la loro offensiva sembrava inarrestabile. Poco dopo diecimila dei loro uomini si spinsero oltre, posizionandosi a pochi chilometri dall'aeroporto di Baghdad. Il “pre assedio” della capitale irachena era l'ultimo successo di un'avanzata tanto travolgente quanto inattesa.

Poi la campagna internazionale aerea guidata dagli Stati Uniti – dopo un'iniziale fase di successi militari - ha riportato a una sostanziale situazione di stallo caratterizzata da continui, anche se non troppo significativi, capovolgimenti di fronte. Emblematico quanto accaduto negli ultimi giorni: dopo aver strappato all'Isis la strategica Tal Abyad (sempre ai confini con la Turchia) la scorsa settimana, sfruttando la copertura aerea dei caccia della coalizione internazionale, le forze curde hanno conquistato un'importante base militare(la Liwa 93) in mano allo Stato islamico per poi proseguire la loro avanzata fino a soli 30 chilometri da Raqqa, la capitale dello Stato islamico. Ed ecco che in un meno di 48 ore (tra ieri e oggi) l'Isis si riprende parte di Kobane e parte della città Hassakeh, in mano alle forze del regime siriano.

In teoria, guardando i numeri, c'è da stupirsi su come lo Stato islamico riesca a mantenere il suo ampio territorio, in alcuni periodi perfino ad estenderlo (ormai controlla quasi metà della Siria e quasi un terzo dell'Iraq), con una “esercito” di gran lunga inferiore in quanto a mezzi, uomini e tecnologia militare a quello messo in campo da Iraq, Siria, Peshmerga kurdi, milizie filoiraniane sostenute da Teheran, oltre alla grande forza aerea messa in campo dalla coalizione internazionale. Forse il punto vulnerabile del fronte anti-Isis è proprio dato dal fatto della sua eterogeneità; un coacervo di soldati appartenenti a nazioni che spesso hanno interessi diametralmente opposti nello scacchiere politico mediorientale. E che quindi preferiscono spesso agire da soli, anziché coordinarsi. La notizia, subito smentita dalle autorità turche, secondo cui Isis sia riuscita a penetrare a Kobane passando attraverso la Turchia, (storica nemica dei curdi) restituisce con efficacia la complessità della situazione.

Ma è senza dubbio importantissimo il sostegno di parte della comunità sunnita irachena. Senza di loro l'Isis non può essere vinto. Discriminati dal Governo sciita di Baghdad per anni, i sunniti avevano già mostrato la loro insofferenza sollevandosi in diverse aree del Paese. L'avanzata dello Stato islamico è arrivata come una sorta di rivincita. Pur non condividendo né la violenta ideologia né i mezzi brutali dell'Isis, agli occhi di non pochi sunniti iracheni la bandiera nera dello Stato islamico rischia dunque di essere il male minore rispetto alle potenziali e feroci rappresaglie contro di loro da parte delle milizie sciite irachene. Una situazione che non lascia intravvedere sbocchi.

Ed ecco dunque che dopo sei mesi Kobane, la città simbolico dove hanno perso la vita le agguerrite combattenti curde, la città dove Arin Mirkan, madre di due figli decise di farsi esplodere per fermare l'avanzata degli jihadistii, potrebbe cambiare di nuovo bandiera.
Cosa accadrà ora a una delle città simbolo della guerra contro l'Isis?. Chi indulge al pessimismo ha le sue valide ragioni.

© Riproduzione riservata