È un derby fra l’euro e la dracma, secondo il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Le squadre in campo, invece, potrebbero essere non due, ma cinque, secondo un’analisi del “Wall Street Journal”. Il futuro regime monetario della Grecia potrebbe infatti prevedere anche soluzioni intermedie che a prima vista non sono ovvie.
L’opzione euro è la più semplice e meno devastante nell’immediato: presuppone ovviamente un accordo con i creditori, accompagnato da precise condizioni (il risultato che finora è sfuggito ai negoziatori), consentirebbe alla Banca centrale europea di continuare a finanziare le banche greche e prevede probabilmente a un certo punto anche un riscadenziamento del debito.
La seconda possibilità è che la Grecia esca dall’eurozona, ma continui a usare l’euro. Si tratterebbe di una “euroizzazione” dell’economia, così come alcune economie latinoamericane sono state “dollarizzate”, per esempio l’Ecuador. Ma un caso più vicino a noi è quello del Montenegro, di cui si parla apertamente anche in ambienti monetari. Il principale problema è che la Grecia userebbe l’euro, a quel punto però diventato una valuta estera, uscirebbe da tutte le istituzioni dell’unione monetaria, in primis dalla Bce, che a quel punto non sarebbe più tenuta a finanziare le banche greche, e Atene non avrebbe più alcuna capacità di influenzare le decisioni. La mancanza di un prestatore di ultima istanza indebolirebbe enormemente il settore bancario.
La terza opzione è il currency board. Anche qui l’esempio più famoso è latinoamericano, l’Argentina degli anni 90 (un esperimento finito male), quello più vicino a noi è l’Estonia, che si legò al marco dopo il crollo dell’Urss. La Grecia avrebbe una nuova moneta, diciamo la nuova dracma, ma legata all’euro da una parità fissa. L’ammontare di moneta in circolazione sarebbe determinato dalle riserve della banca centrale nazionale (5,8 miliardi di dollari, secondo le ultime cifre). L’uscita di capitali, presumibilmente dovuta a cattive politiche economiche, provocherebbe una stretta, l’afflusso di capitali uno stimolo. Dovrebbe essere quindi un incentivo ad adottare le politiche corrette, ma il caso dell’Argentina insegna che non è sempre così e il currency board è saltato.
La quarta possibilità, la circolazione di due monete contemporaneamente, non sarebbe così remota se la rottura definitiva con i creditori portasse Atene a restare senza euro e quindi a dover emettere, per i suoi pagamenti (stipendi pubblici, pensioni, etc.), delle cambiali (Iou) che diventerebbero la nuova moneta. Questa conviverebbe con l’euro e anzi gli Iou verrebbero probabilmente denominati, in una prima fase, in euro, ma avrebbero un valore inferiore agli euro “veri” almeno nella percezione degli agenti economici, in quanto di fatto obbligazioni del Governo greco. E, dato che “la moneta cattiva scaccia quella buona”, i greci si terrebbero gli euro (sotto il materasso o no), che finirebbero per sparire dalla circolazione, mentre tutte le transazioni verrebbero realizzate in Iou. Questa diventerebbe alla fine la vera moneta nazionale.
L’ultima opzione è l’altro caso estremo citato da Renzi: l’introduzione di una nuova moneta, diciamo la nuova dracma, controllata dalla Banca centrale greca. Questo può avvenire progressivamente, come nell’ipotesi procedente, anche perché l’introduzione di una nuova moneta ha molte complicazioni logistiche. Dato che subirebbe con ogni probabilità una immediata, forte svalutazione sull’euro, provocherebbe insolvenze e il probabile collasso del sistema bancario, che andrebbe ricapitalizzato dallo Stato. A più lungo termine, un cambio più debole potrebbe favorire le esportazioni (anche se la struttura dell’economa greca è molto debole su questo fronte), a patto che l’inflazione generata dalla svalutazione fosse tenuta sotto controllo, e, in tempi più brevi, il turismo dall’estero.
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