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Il peso degli arretrati al Fondo monetario

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rimborso scaduto

Il peso degli arretrati al Fondo monetario

FRANCOFORTE - Alla mezzanotte di ieri, secondo l'ora dell'Europa continentale, la scadenza del rimborso delle rate di giugno dalla Grecia al Fondo monetario internazionale, 1,6 miliardi, è divenuta ufficiale. La Grecia aveva già annunciato di non voler, o non poter, pagare.

Cosa succede oggi? Atene è in default nei confronti dell'Fmi, anche se l'istituzione di Washington usa l'espressione meno brutale di “arretrato”. Una semplice differenza semantica.

Secondo una vecchia regola dell'Fmi, il direttore Christine Lagarde avrebbe avuto il tempo per due solleciti alla Grecia e un mese per notificare il consiglio, momento dal quale scatta la procedura di arretrato. Un periodo che avrebbe concesso un po' di respiro al debitore. La stessa signora Lagarde ha però dichiarato senza mezzi termini nei giorni scorsi di voler notificare immediatamente il consiglio e il default quindi scatta subito. Le vecchie regole, spiegano ora al Fondo, non si applicano più, senza specificare quando e perché siano state modificate.

Un default, o un arretrato che dir si voglia, verso l'Fmi non è un evento di poco conto, a maggior ragione se delle dimensioni di quello della Grecia, che in questo momento è il Paese con il maggior debito con l'istituzione, 21 miliardi di euro in tutto, dovuti alla partecipazione dell'Fmi a entrambi i pacchetti di salvataggio a favore di Atene, nel 2010 e nel 2012. Il mancato pagamento di 1,6 miliardi di euro è il più grosso mai avvenuto, in 70 anni, nei confronti del Fondo monetario, un creditore cui tutti i Paesi dedicano la massima attenzione (l'ultimo a non pagare è stato, nel 2001, lo Zimbabwe, che resta in arretrato, insieme a Somalia e Sudan).

Anche perché l'arretrato porta con sé conseguenze molto gravi. La prima è che il Paese interessato perde immediatamente l'accesso alle risorse dell'Fmi, anche se il programma con il Fondo, a differenza di quello con i creditori europei, scaduto ieri, si prolunga fino al marzo 2016. Nel caso della Grecia, questo include circa 3,6 miliardi di euro residui dal secondo pacchetto di salvataggio (circa la metà del totale non ancora sborsato dai creditori, a causa dell'inadempienza di Atene sulle condizioni del programma economico). Se la situazione di default dovesse prolungarsi la Grecia perderebbe il proprio diritto di voto e, alla fine, addirittura essere espulsa.

Per evitare disparità fra i Paesi membri e che vengano sottratte risorse agli altri, soprattutto ai più poveri (“siamo una mutua” amano ripetere al Fondo), l'Fmi non concede mai ristrutturazioni del debito. Una richiesta in questo senso da parte di Atene nel corso del negoziato denota una scarsa conoscenza del funzionamento dell'istituzione (del resto, poco dopo il suo insediamento, il ministro delle Finanze greco, l'ineffabile Yanis Varoufakis, ha di fatto costretto alle dimissioni il rappresentante di Atene all'Fmi, un funzionario competente e rispettato) ed è stata prontamente rispedita al mittente.

Il Fondo può invece concedere rinvii sui pagamenti, secondo una clausola prevista in casi eccezionali dallo statuto che prevede dilazioni anche fino a 5 anni. E un rinvio del pagamento in scadenza ieri è stato chiesto da Atene, ha detto ieri sera il vicepremier Yannis Dragasakis secondo cui ci sarebbe stata anche una richiesta alla Bce per un'estensione della liquidità d'emergenza. Ma l'ultima volta che l'Fmi ha concesso un rinvio è stato nel 1982, a favore di Nicaragua e Guyana. In condizioni straordinarie, quando il rimborso all'Fmi creerebbe uno stato di “eccezionale privazione” per il debitore, il Fondo può accordare un rinvio ancora più lungo, votandolo con una maggioranza del 70%. Non si vede come questo di possa applicare a un Paese avanzato, membro dell'Unione europea, come la Grecia, a favore della quale, secondo i Paesi emergenti, il Fondo ha già fatto anche troppe eccezioni, anzi tutto concedendogli prestiti ben al di sopra del normale tetto. Il problema diventa politico: grandi economie emergenti come la Cina e Brasile si sentono discriminate in quanto l'Fmi non ha ancora approvato (per il veto degli Usa) la riforma, vecchia ormai di cinque anni, delle quote e dei voti, che riconoscerebbe il loro maggior peso nell'economia mondiale. Per di più, l'anno prossimo, scade il mandato di Christine Lagarde ed è facile ipotizzare che l'opposizione al suo rinnovo da parte dei Paesi emergenti sarebbe ancora più dura se dal caso Grecia l'Fmi apparirà ancor più sbilanciato a favore dell'Europa.

I problemi della Grecia con il Fondo monetario non si limitano comunque al mancato pagamento di oggi, o ai 5,5 miliardi in tutto che Atene deve rimborsare all'Fmi entro la fine dell'anno. In maggio infatti per rimborsare una rata di circa 650 milioni al Fondo, il Governo greco, già allora a corto di soldi, ha utilizzato (sfruttando una clausola prevista dalle regole dell'istituzione per casi di estrema emergenza) parte delle riserve che detiene presso l'Fmi stesso. Anche queste devono essere reintegrate al più presto. E il default con l'Fmi potrebbe influenzare la decisione di oggi della Banca centrale europea sulla continuazione della liquidità di emergenza (Ela) alle banche elleniche e dà ai fondi salva-Stati europei Efsf e Esm il diritto (ma non l'obbligo) di dichiarare Atene insolvente anche nei loro confronti.

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