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i conti di atene ai raggi x

Grecia, quel debito da 312 miliardi che fa impazzire l’Eurozona. Ristrutturare o no?

Il debito della Grecia sta mettendo in seria difficoltà l’Eurozona, in un’infinita partita a poker tra il governo anti-austerity guidato da Tsipras e il simbolo della vincente austerità Merkel (proprio ieri la Germania ha confermato che sarà in pareggio di bilancio fino al 2019). Il debito alla Germania non va proprio giù, tanto che in tedesco si chiama “schuld”, che è lo stesso termine utilizzato per il vocabolo italiano “colpa”.

Bene, con un debito di 312 miliardi di euro, e pari al 180% del Pil, la colpa della Grecia nel credo austeritiano è altissima. Se Tsipras e Merkel sono arrivati allo scontro finale del referendum in programma in Grecia domenica prossima è proprio perché nella proposta dei creditori non è stata fatta menzione alla ristrutturazione/rinegoziazione del debito. Lo stesso ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, ha ammesso oggi che il tema del debito è cruciale: «Non ci sarà nessun accordo senza la ristrutturazione del debito».

Certo, nella trattativa ci sono aliquote Iva, età pensionabile e riforma del lavoro. Ma è il debito che ha mandato in tilt i negoziati. La Germania non vuole inserirlo in questa trattativa, il governo Tsipras invece sì. Non va trascurato probabilmente il ruolo della Spagna che in autunno dovrà affontare una tornata elettorale che potrebbe portare alla ribalta il partito di estrema sinistra Podemos (allineato alla visione del Syriza d Tsipras). Se i creditori fossero morbidi con la Grecia darebbero adito a nuove future rivendicazioni in tal senso anche da parte di una ipotetica Madrid guidata da Podemos. Questo spiega perché oltre alla Germania, uno dei Paesi più duri in questo momento nella trattativa in Grecia sia proprio la Spagna.

In ogni caso, i livelli attuali indicano che sui mercati viene dato per scontato che il debito verrà tagliato, ovvero verrà fatto un altro “haircut” dopo quello del 2012. Basta osservare la curva dei rendimenti. Questa mattina i bond di Atene con scadenza a due anni prezzano un rendimento del 36%, quelli a 5 anni del 23%, quelli a 10 anni del 15%, quelli a 15 del 13% e quelli a 20 dell’11,5%. Si tratta di tassi nominali alle stelle, ancor più folli se poi si considera che la Grecia è in deflazione (-2,1%). E quindi il costo reale del debito anziché essere abbattuto dall’inflazione, lievita addirittura per l’andamento dei prezzi.

I mercati quindi, come ci dimostra la curva dei rendimenti violentemente invertita, scontano uno scenario da default o, al massimo di ristrutturazione del debito, ovvero di riscadenziamento e di modifica dei tassi.

Ma non va fatta confusione. I tassi che vediamo sul mercato secondario non sono quelli che realmente Atene paga per finanziarsi, ovvero la Grecia non paga il 36% a chi ha un titolo che scade fra due anni. Come per tutti i rendimenti prezzati dal mercato secondario è il mercato a deciderli muovendo in direzione opposta il prezzo. Quando il rendimento sale il prezzo scende e viceversa. Comprare oggi un bond di Atene che rende il 36% vuol dire pagarlo molto meno del prezzo di rimborso, nella speranza che poi a scadenza il governo, che lo ha emesso a 100 e sul quale paga la cedola prevista in sede di emissione (che non è del 36% ma molto più bassa) lo rimborsi a 100. Il fatto che il mercato abbia fatto crollare il prezzo impennandone il rendimento potenziale (nel caso Atene rimborsi il debito integralmente a scadenza) vuol dire che il mercato crede nel default, in un taglio o in una ristrutturazione del debito.

Non va poi confuso un altro punto quando si parla di debito di un Paese. Non tutto il debito è quotato in titoli. Ad esempio, al 31 marzo il debito pubblico della Grecia (come emerge da questa tabella) ammontava a 312 miliardi di euro. Di questi “solo” 81,5 miliardi sono quotati in titoli obbligazionari. Da notare che poi di questi, 15 miliardi sono espressi in note a breve termine, uno strumento che Atene (che non può più emettere titoli sul mercato a medio-lunga scadenza da quando è entrata nel piano di salvataggio europeo) utilizza per finanziarsi a 12 mesi ma sulle quali non paga interessi. In molti ipotizzano che queste note siano una partita di giro tra Bce e Banca nazionale greca. Una sorta di aiutino per dare liquidità a breve termine.

In pratica solo il 26,1% del debito pubblico di Atene viene trattato sui mercati finanziari ed è in mano quindi ad investitori. Il restante 73,9% (ovvero 231 miliardi) è detenuto dalla Banca centrale della Grecia e, soprattuto (per un ammontare di 205 miliardi), dal Financial Support Mechanism loans, ovvero dal Fondo salva Stati europeo. Su questo debito Atene non paga certo il tasso che pagherebbe se chiedesse lo stesso finanziamento sui mercati finanziari (dove appunto il suo attuale livello di rischio/rendimento in base al rating “spazzatura” la costringerebbero virtualmente a pagare il 36% sulle nuove emissioni a due anni e il 15% sulle nuove a 10 anni). Ma paga un tasso molto più basso, concordato appunto nell’ambito dei due piani di salvataggio concordati con la Troika nel 2010 e nel 2012. Questo anche per sciogliere un altro piccolo dubbio: i piani di salvataggio non sono soldi versati a fondo perduto, ma si tratta di prestiti a tassi agevolati, e molto più bassi rispetto a quelli che sarebbero fissati dalle logiche del mercato, in un cambio di un concordato piano di riforme.

Alla fine dei conti quindi, come ha calcolato il think tank europeo Bruegel, il tasso che Atene paga sull’ammontare di debito è di circa il 2%, inferiore al 3% medio pagato dalla Spagna e al 5% dell’Italia. Ma nonostante questo sconto, Atene è in difficoltà. E questo soprattutto perché il tessuto produttivo non riesce a generare un Pil all’altezza di questa enorme mole di debito, essendo crollato del 25% dal 2008. Pil al quale l’austerità recessiva praticata in questi ultimi anni - e di recente criticata dallo stesso Fondo monetario internazionale, che però figura nell’elenco dei creditori e impone austerità nelle trattative - non ha certo dato una mano.

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