Mondo

Non ci sarà alcuna vittoria per la Grecia alle urne

  • Abbonati
  • Accedi
Emergenza grecia / l’analisi

Non ci sarà alcuna vittoria per la Grecia alle urne

La Grecia non può uscire vincitrice dal referendum di domenica. Respingere le condizioni pretese dai creditori del paese accelererebbe il suo scivolone verso il caos economico e, più verosimilmente ancora, l'uscita dall'euro. Un voto di sfiducia nei confronti della strategia negoziale del governo di Syriza – ovvero un “sì”, nell'oscuro linguaggio dei referendum – abbandonerebbe la Grecia a sé stessa, in una terra politica di nessuno. Il Primo ministro Alexis Tsipras sarebbe privato di ogni autorità, ma non è affatto chiaro come, e da chi, sarebbe sostituito.

Le pagliacciate di Tsipras degli ultimi tempi sono state sorprendenti, perfino per gli eccentrici standard di Syriza. Il rifiuto delle condizioni poste dalla zona euro per il bailout è stato seguito dal colpo di scena del referendum. E mentre il governo restava insolvente nei confronti del Fmi e le banche iniziavano a restare a corto di liquidi, con un'improvvisa brusca inversione Tsipras ha fatto intendere di poter abrogare la consultazione referendaria e accettare le condizioni poste dai creditori, previo piccolo ritocco. Niente da fare. E così, con un secondo voltafaccia, Tsipras ha bollato i suoi interlocutori, definendoli «sirene della devastazione» e ricattatori.

Quale dei due, Signor Tsipras? Si tratta di un battibecco tra chi prende e chi eroga prestiti sul dettaglio dei tagli alle pensioni o degli aumenti dei prelievi fiscali, o di un tentativo da parte delle «forze conservatrici estremiste» a Berlino e altrove di incatenare la Grecia alla povertà in eterno? Ancora adesso, il Primo ministro fatica a esprimere con chiarezza ciò che pensa. Si dice che un funzionario europeo sfinito abbia detto che negoziare con gli ideologhi irremovibili è sempre impegnativo; trovare un terreno comune con gli ideologhi immaturi è impossibile.

Chi vuole vedere la Grecia tornare alla tranquillità economica in seno all'Ue auspicherà che dal plebiscito di domenica esca un «sì», anche se questo «sì» non corrisponderà a molto più del minore di due mali. Syriza sostiene che una vittoria dei «no» costringerà la zona euro a tornare al tavolo dei negoziati. Ma si sbaglia. Gli altri governi della zona euro non si sentono in alcun modo tenuti a farlo. Perché mai dovrebbero? La fiducia si è dissolta. Tsipras non ha mai capito fino in fondo che anche nelle altre nazioni c'è democrazia. Un «no» sarà inteso come la volontà di tornare alla dracma. E l'Europa, come pure la Grecia, sarà molto impoverita dalla comparsa di un altro stato fallito nei Balcani.

In ogni caso, nessuno dovrebbe anche solo immaginare che sfidando Syriza e votando «sì» la Grecia si metterebbe a progettare daccapo una scorciatoia per arrivare a una crescita sostenibile e migliorare gli standard di vita. Il destino della Grecia è nelle sue stesse mani. Certo, ha bisogno di un alleggerimento del debito. Solo questa settimana l'Fmi ha detto che, come minimo, per la sostenibilità occorre una significativa proroga delle scadenze dei pagamenti dei prestiti. Ma nessuna di queste due cose può essere priva di clausole. Una cancellazione del debito può offrire un sollievo immediato, è vero, ma senza una riforma radicale dello stato in definitiva sarebbe un gesto inutile. E quindi il vero succo del problema resta il rispetto delle scadenze.

Più di ogni altra cosa, comunque, una ripresa sostenuta della Grecia esige il pieno rispetto della legalità. È curioso, ma prima dell'elezione di quest'anno Tsipras prometteva proprio questo: un'offensiva contro gli oligarchi, i cartelli, il clientelismo e la corruzione che a lungo hanno menomato la società greca e soffocato le imprese. Come poi è diventato palese, Syriza ha preferito badare ai clienti propri. I suoi molteplici cambi di direzione, le sue sterzate, hanno spinto gli interlocutori di Tsipras alla disperazione, ma ciò che in verità li ha sconcertati più che mai è stata l'assenza di uno sforzo concreto per far piazza pulita all'interno dell'amministrazione.

Tra le clausole annesse all'ultimo piano di bailout della zona euro respinto, a colpire in modo singolare era proprio il numero di quelle che riguardano la governance del paese: misure per migliorare la trasparenza nel processo decisionale, per porre fine alla manipolazione dei prezzi, per eliminare la corruzione, per sradicare le truffe e – detto con molta semplicità – per rispettare la legalità. Si tratta di riforme studiate per rendere un servigio al popolo greco. È davvero un ricatto chiedere ad Atene di dare un giro di vite all'evasione fiscale o di vietare la manipolazione dei prezzi che costringe i greci a pagare almeno il doppio del prezzo reale, se mai hanno bisogno di farmaci salvavita?

Il resto dell'Europa non può trarre conforto dalla malaparata della Grecia. Per quanto sia giusto, accusare Syriza non risolve niente. Angela Merkel ha detto di non ricordare in quale periodo l'Europa si è trovata a far fronte a tempi altrettanto problematici. La cancelliera tedesca ha ragione. Le minacce non nascono soltanto dal Grexit, ma anche dalle ondate di migranti che attraversano il Mediterraneo o dai terroristi islamici che stanno prendendo di mira l'Europa. Il continente sta assistendo contemporaneamente a un crollo della fiducia e a una rapida erosione di quella che un tempo si definiva solidarietà.

Viaggiando in lungo e in largo in Europa negli ultimi mesi ho sentito i ministri delle Finanze e i responsabili delle banche centrali ribadire che la zona euro sopravvivrà a un'eventuale uscita della Grecia. È naturale che lo dicano. Ma io penso che ci credano pure. Ciò che simili giudizi trascurano di prendere in considerazione è l'impatto cumulativo di un simile evento, il cambiamento psicologico che subentrerebbe a un fallimento anche solo parziale del progetto europeo più ambizioso di integrazione.

Tra la maggior parte delle élite politiche continua a prevalere la convinzione che il futuro appartiene al modello Ue di sovranità condivisa. Sì, col Grexit si potrebbe benissimo accelerare il ritmo dell'integrazione all'interno della zona euro, così da dar vita a un'unione economica in parallelo con quella valutaria. Ma l'umore dell'opinione pubblica nel continente è inasprito. La cooperazione è diventata di proposito qualcosa di relativo alle sole questioni commerciali, e i governi sono sempre più riluttanti a individuare i propri interessi nazionali nel più vasto beneficio reciproco.

Malgrado tutto ciò che Tsipras ha fatto per rendere incomprensibile la vera questione, il referendum di questo fine-settimana riguarda, prima di ogni altra cosa e più di ogni altra cosa, se la Grecia vuole un'opportunità per salvarsi. Le conseguenze della sua scelta, tuttavia, avranno ripercussioni ben al di là di Atene.

(traduzione di Anna Bissanti)

© Riproduzione riservata