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Slitta ancora l’accordo sul nucleare iraniano, nodi irrisolti…

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PROROGA ALMENO FINO A VENERDÌ

Slitta ancora l’accordo sul nucleare iraniano, nodi irrisolti missili e sanzioni

Sfogliando Kayhan, storico quotidiano iraniano diretto da Hussein Shariatmadari, consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei, c’era ieri la netta sensazione che il titolo d’apertura della prima pagina presagisse un altro rinvio del negoziato di Vienna che scadeva ieri 7 luglio. Ora, a quanto pare, si va avanti fino a venerdì.

«Le potenze occidentali vogliono includere nell’intesa i missili balistici», annunciava il giornale di Teheran, che da sempre esprime la posizione dei “duri e puri” del regime degli ayatollah, assai guardinghi sul risultato delle trattative in corso a Palais Coburg a Vienna. Ma questa come sappiamo è una lunga storia di “falchi” e “colombe”, sia sul versante iraniano che su quello d’Oltreoceano.

L’interpretazione degli ultra-conservatori è questa: il problema principale per raggiungere l’accordo sul controverso programma nucleare iraniano è adesso la revoca dell’embargo sulle armi a Teheran, in particolare le sanzioni dell’Onu sul programma missilistico iraniano. I russi, che intendono concludere un contratto per vendere a Teheran i missili S-300, hanno dato anche la loro versione. «L’intesa è stata raggiunta per la revoca della maggior parte delle sanzioni contro Teheran - ha esplicitamente dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov - e posso assicurarvi che rimane soltanto una grande questione ed è la questione dell’embargo sulle armi». Per la verità Lavrov ha sottolineato che, oltre all’embargo, restano sul tappeto otto questioni, senza elaborarne il contenuto.
Ma evidentemente c’è dell’altro.

Secondo gli iraniani, per altro assai abili negoziatori e pronti a intravedere ogni crepa nella controparte, sono emerse divisioni nel gruppo del Cinque più Uno. Fonti di Teheran citate dall’agenzia stampa “Tasnim” mettono in rilievo due punti dei negoziati contestati fortemente sia dalla Russia che dalla Cina. Il primo è come si è visto la questione della revoca dell’embargo sulle armi ma pesa soprattutto il secondo che riguarda «l’automatico ripristino» delle sanzioni in caso di mancato rispetto dell’accordo da parte dell’Iran. Su questo punto sia Pechino che Mosca si oppongono perchè lederebbe “il diritto di veto” delle due superpotenze nell’ambito del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La repubblica islamica iraniana vorrebbe sentire un’unica voce dal Cinque più Uno e queste divisioni, se vere, di per sè costituirebbero un ostacolo ai negoziati. Questa è musica per le orecchie della destra ultra-conservatrice e di uomini come Shariatmadari che dalle colonne di Kayhan conduce da tempo una battaglia contro ogni compromesso con l’Occidente e gli Stati Uniti.

Fin da ieri mattina era sembrato chiaro che anche la scadenza del 7 luglio sarebbe passata senza la firma tra Teheran e il Gruppo 5+1, nonostante la presenza a Vienna di tutti i ministri degli Esteri. A metà giornata è stata la stessa Federica Mogherini, alto rappresentante della politica estera Ue, ad annunciare che i negoziati sarebbero proseguiti «ancora per diversi giorni». E trascorse poche ore il Dipartimento di stato americano ha fatto sapere che le trattative andranno avanti «giorno per giorno» mentre la nuova scadenza è fissata per il 10 luglio, venerdì. Gli iraniani, invece, hanno preferito non parlare di un «termine».

Ma quando i ministri hanno lasciato “temporaneamente” la capitale austriaca e sono ripartiti, al tavolo di Vienna sono rimasti soltanto Mohammad Javad Zarif e John Kerry, a sottolineare che ormai il gioco è tutto politico tra Washington e Teheran. Come del resto lo è sempre stato negli ultimi 35 anni, da quando nel fatale 4 novembre 1979, all’indomani della rivoluzione islamica dell’Imam Khomeini, gli studenti presero d’assalto l’ambasciata Usa a Teheran e sequestrarono 440 ostaggi americani. Tre decenni abbondanti in cui Usa e Iran non hanno mai superato la reciproca diffidenza. Non si può chiedere ad americani e iraniani di diventare improvvisamente amici ma partner in un Medio Oriente che può partire da questo accordo di Vienna per frenare la disgregazione di un’intera regione. Il tempo stringe: mentre da Ankara veniva annunciato che Erdogan guiderà la preghiera del venerì al Palazzo presidenziale, la Turchia ammassa truppe a carri al confine con la Siria. Le guerre mediorientali non hanno mai fine e quella di Vienna è l’unica alternativa che offre la diplomazia alle armi.

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