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L'eterno ritorno al confronto sull'austerità

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L'ANALISI

L'eterno ritorno al confronto sull'austerità

  • –di VittorioDa Rold

Tra Atene e la Troika è ancora braccio di ferro su quali e quante “riforme prioritarie” siano da approvare prima del via libera al terzo piano di aiuti. Come in una commedia dell'arte dove i personaggi sono delle maschere con caratteri sempre uguali, i greci interpretano da sei anni la parte di chi cerca di ridurre il peso delle riforme stutturali e di rinviarle nel tempo, mentre i creditori cercano di aumentarne il peso e di accorciare i tempi di approvazione. Un copione già visto in passato ma che si ripete come una fatica di Sisifo.

Il premier Tsipras e i tre governi che si sono succeduti nel tempo dall'inizio della crisi greca temono di somministrare una medicina a base di sola austerità che ha aggravato la disoccupazione e ha ridotto il Pil di un quarto, mentre i creditori vogliono recuperare il più in fretta possibile i loro prestiti e chiedono all'economia greca di fare un balzo verso la modernità, la competitività e la concorrenza interna.

Sono posizioni contrapposte che hanno trovato nel tempo un difficile compromesso. I greci, in passato, hanno sperperato risorse e vissuto al di sopra dei loro mezzi, mentre i creditori hanno puntato ideologicamente solo su svalutazione interna (tagli sui salari) per recuperare competitività, sulla riduzione delle pensioni e del mercato del lavoro dimenticando le riforme del mercato dei beni, l'ammodernamento della struttura amministrativa, la capacità di riscuotere i tributi e politiche di rilancio degli investimenti.

In Grecia si sono scontrati, come in una guerra per procura, due mondi contrapposti e i migliori economisti mondiali: i neo liberisti e i neo-keynesiani rinfacciandosi a vicenda gli insuccessi della soluzione della crisi più complessa dai tempi della Caduta del Muro di Berlino. Uno scontro il cui esito finale è stato solo rinviato ma che ha visto entrare in campo anche la Bce vista l'importanza della posta in gioco. Le riforme richieste dai creditori «non puntano ad imporre ad Atene un neoliberismo sfrenato. Puntano al contrario a creare un quadro fiscale, sociale e giuridico moderno e più equo, e a costruire uno Stato efficace, capace d'intervenire nell'economia per il bene comune. Una missione in cui lo Stato greco ha spesso fallito», ha detto Benoit Coeuré, membro francese del board della Bce, in un'intervista al quotidiano le Monde. L'Eurotower ha deciso di entrare in partita per dare la sua interpretazione sull'economia sociale di mercato a cui dovrebbe ispirarsi l'Unione europea.

Non è una ricetta neoliberista né neo keynesiana: la Bce non vuole perdere la partita che ha ingaggiato tre anni fa quando Mario Draghi disse a Londra di essere pronto a “whatever it takes”, quando promise di fare qualsiasi cosa per salvare l'euro e aggiunse: «E credetemi, sarà abbastanza». Per questo Atene deve fare le riforme, per poi agganciare il ricostituente del Qe della Bce, da cui oggi è esclusa. Non sarà Keynes ma ci assomiglia molto.

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