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Egitto

Suez celebra il raddoppio del Canale: ecco l’impatto sul commercio mondiale

A proposito del “piagnisteo” italiano sull’arretratezza del Meridione. Il nuovo canale di Suez che s’inaugura oggi con le fanfare, sarà più largo e profondo; più navi e più merci transiteranno più in fretta per il Mediterraneo nel quale già circola il 19% del traffico merci mondiale. L’aumento di questo traffico, spiega uno studio di Srm del Gruppo Intesa San Paolo, è «un’opportunità strategica per l’Italia e il suo Mezzogiorno». Purché si adegui «urgentemente la dotazione infrastrutturale»: dragaggio, logistica, innovazione.

Da prima che fosse aperto nel 1869 e prima ancora che iniziassero a scavarlo, il canale di Suez non è mai stato un affare solo egiziano. La constatazione storica è sempre stata contemporaneamente un vantaggio e un onere per l’Egitto, per il quale il canale rappresentò decenni di sottomissione allo straniero e ora è una fonte di valuta pregiata che vale il 4% del suo Pil.

Come disse nel 1834 Bartolomeo Prospero Enfantin al khedive Muhammad Ali, per convincerlo a scavare il canale, «la colonizzazione occidentale dell’Oriente è una necessità imposta dal cielo». Enfantin credeva nel sansimonismo, l’idea socialista nata all’école polytechnique di Parigi, secondo la quale solo lo sviluppo industriale avrebbe affrancato il proletariato dalla povertà. Muhammad Ali non doveva avere apprezzato la dichiarazione di superiorità dell’Ovest sull’Est, ma come Enfantin era un modernizzatore. Aveva appena dato cannoni al suo esercito e industrializzato la produzione di cotone a fibra lunga che avrebbe imposto l’Egitto fra i grandi scali del commercio mondiale. Il khedive licenziò Enfantin che aveva incominciato a scavare, chiuse il suo cantiere e cercò qualcun altro.

Un canale serviva, lo avevano capito anche alcuni faraoni un paio di millenni prima. Fu inaugurato finalmente nel 1869, dopo 10 anni di scavo, grazie a Ferdinand de Lesseps che aveva saputo essere più determinato e rispettoso di Enfantin. Il 17 novembre di quell’anno il panfilo imperiale L’Aigle di Napoleone III tagliò le acque del canale. Trionfalmente ma non per primo. La notte precedente l’inglese Newport era entrato a Porto Said a luci spente e uscito a Suez la sera successiva, come ad anticipare un dominio al quale i francesi non avrebbero potuto resistere. I 192 chilometri da Porto Said a Suez sarebbero stati il cancello d’ingresso del colonialismo europeo verso l’Asia e l’Africa, poi una delle arterie fondamentali della globalizzazione. Senza Suez, difficilmente la delocalizzazione in Asia avrebbe avuto i vantaggi e le dimensioni che conosciamo. In fondo la globalizzazione non è che una forma di colonialismo condotto con mezzi più democratici e partecipati.

All’inizio la rivoluzionaria via d’acqua non fu un grande affare: prima dell’avvento definitivo del vapore, il vento che soffiava da Ovest a Est rendeva difficile la risalita da Suez. Per ripianare il debito pubblico, il khedive Ismail Pasha vendette le quote egiziane alla Gran Bretagna: i francesi continuavano a detenere il pacchetto di maggioranza ma fu solo questione di tempo. Nel 1982 il canale era già parte del più grande impero commerciale marittimo, insieme a Bombay, la baia di Hong Kong, Città del Capo, Gibilterra e l’intero Oceano atlantico. Più di ogni altro avamposto commerciale e strategico (in quest’ordine d’importanza), il controllo del canale definì le guerre, le conquiste e i trattati del Foreign office e dell’Indian office fino al 1956. Fino a quando, il 26 luglio di quell’anno, Gamal Nasser nazionalizzò il canale.

Nessun impero sa uscire a testa alta dalla Storia. Non ne furono capaci nemmeno gli inglesi che insieme a francesi e israeliani nell’ottobre di quell’anno inventarono un casus belli per controllare di nuovo il canale.

Costretti dall’americano Eisenhower a ritirarsi, non vi tornarono più, se non pagando come tutti un pedaggio che oggi è mediamente di 318mila dollari a nave. Gli israeliani invece tornarono sulla riva orientale nel 1967 e si ritirarono nel 1975, dopo due guerre, consentendo la riapertura del canale dopo 8 anni di blocco, disastrosi per l’economia egiziana e il commercio mondiale. Insieme allo shock petrolifero del 1974, Suez fu la causa di una delle più gravi recessioni del dopoguerra. Era da lì che transitava la gran parte degli idrocarburi che alimentavano il sistema industriale europeo. Oggi il traffico principale è quello dei containers: 430 milioni di tonnellate l’anno, il 50%. Ma i prodotti petroliferi continuano a crescere: erano 50 milioni di tonnellate nel 2000, sono state 178 l’anno scorso.

La riduzione dei tempi di percorrenza del canale da 18 a 11 ore e l’aumento dei transiti da 49 a 97 navi accorcerà ancora di più il tragitto Rotterdam-Singapore, che grazie a Suez ora è di nove giorni più breve rispetto alla circumnavigazione dell’Africa. Renderà Suez più competitivo di Panama nella rotta New York-Hong Kong. Ma crescono anche i concorrenti: lo sviluppo economico in Africa moltiplicherà i traffici attraverso il Capo di Buona Speranza, creando nuovi hub; e i mutamenti climatici aprono la via a una rotta artica prima impensabile. Perché tutto si muove. Come la statua di Lesseps che prima del 1956 dominava l’ingresso del canale a Porto Said e ora è in un piccolo giardino dietro alle banchine di Port Fuad. Senza piedistallo.

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