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Cinque cose da sapere sulla mossa a sorpresa di Pechino sul cambio

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LE CONSEGUENZE

Cinque cose da sapere sulla mossa a sorpresa di Pechino sul cambio

1) Che cosa ha fatto la Banca centrale cinese?
La Banca centrale cinese ha uno stretto controllo del tasso di cambio. Ogni giorno a fine seduta fissa la parità dello yuan, il cosiddetto «midpoint». Negli ultimi anni ha gradualmente allargato la banda di oscillazione della moneta: l’ultima mossa risale al marzo 2014, quando ha raddoppiato la banda dall’1 al 2 per cento. Gli investitori cinesi dunque possono scambiarsi lo yuan quotidianamente all’interno di questa banda. Quando il cambio si avvicina al limite del 2%, la Banca centrale interviene per evitare che lo sfondi. Negli ultimi tre giorni però ha fatto di più: martedì ha svalutato il cambio di quasi il 2%, mercoledì di un altro 1,6% e giovedì di un ulteriore 1,1% - cosa che non accadeva dal 1994 - per tenere conto, ha spiegato, della domanda e dell’offerta.

2) Perché lo ha fatto?
La tripla decisione viene interpretata da alcuni analisti come una mossa in direzione di una liberalizzazione del cambio. «Questo nuovo meccanismo - commentano gli analisti di Barclays - segna una mossa rivoluzionaria che migliora la formazione del tasso di cambio cinese». Altri economisti la pensano diversamente: con la svalutazione di oggi, sostengono, la Cina entra nella guerra delle valute, quella competizione tra banche centrale per rendere più competitive le proprie economie usando la leva del cambio. I dati diffusi nel weekend fanno pensare che dietro la mossa ci siano i timori per lo stato di salute dell’economia: a luglio infatti l’export cinese è sceso su base annua dell’8,3 per cento. La svalutazione dello yuan dà una mano alle imprese esportatrici in questa fase delicata dell’economia. Fonti vicine al governo cinese citate dall’agenzia Reuters spiegano che dai vertici politici di Pechino sono giunte pressioni sulla Banca centrale perché svaluti la moneta.

La Banca centrale ha cercato di rassicurare i mercati, affermando che «non c’è alcun motivo per un deprezzamento prolungato». La People’s Bank of China ha difeso a spada tratta la sua politica valutaria, presentando le decisioni degli ultimi giorni come un aggiustamento verso i livelli reali del mercato, mentre ha respinto l'idea di una maxi-svalutazione intenzionale ai fini di risollevare l’export. I dirigenti della Pboc hanno spiegato che la svalutazione del renminbi deriva dal nuovo meccanismo di calcolo del tasso che prende maggiormente in conto le fluttuazioni dei mercati dei cambi e che quindi i movimenti dello yuan che si sono visti negli ultimi giorni colmano il divario tra il livello ufficiale e il valore reale di mercato. «Questo divario era dell'ordine del 3%» e considerando la flessione del renminbi da martedì, «l’aggiustamento è ormai praticamente terminato» ha detto l’assistente governatore Zhang Xiaohui.

3) Che cosa significa la mossa di oggi per l’economia mondiale?
Il messaggio è chiaro: l’economia cinese è in difficoltà, al di là delle statistiche ufficiali, che continuano a mostrare un solido tasso di crescita. E Pechino è pronta a fare di tutto per rimetterla in carreggiata. Prima le autorità sono corse ai ripari per arginare la brusca caduta della Borsa di Shanghai, ora invece intervengono sull’economia reale. Anche se un deprezzamento del 4,6% in tre giorni può apparire non decisivo, in realtà inverte la tendenza alla rivalutazione del cambio e mette potenzialmente le imprese europee e americane in una condizione di svantaggio rispetto alle concorrenti cinesi, soprattutto se la mossa dovesse ripetersi in futuro.

4) Che cosa significa per i mercati?
La decisione può avere un impatto ribassista sulle materie prime perché segnala la preoccupazione delle autorità cinesi per lo stato di salute dell’economia. Sul mercato valutario tutte le monete asiatiche e in generale quelle dei Paesi che più esportano in Cina potrebbero subire un contraccolpo. Altre banche centrali potrebbero essere tentate di imitare Pechino in una nuova puntata della «guerra delle valute», termine coniato dall’ex ministro delle Finanze brasiliano Guido Mantega per indicare le strategie delle banche centrali mirate a influenzare il tasso di cambio. Persino la Federal Reserve, che deve decidere quando alzare i tassi per la prima volta da nove anni, potrebbe rinviare la stretta.

5) Che cosa può succedere nelle prossime settimane?
Sul piano politico la mossa ovviamente non piacerà agli Stati Uniti, che da anni chiedono al contrario una rivalutazione dello yuan, anche se non si sono mai spinti fino al punto di dichiarare ufficialmente che la Cina manipola il suo tasso di cambio. Il presidente cinese Xi Jinping sarà in visita ufficiale negli Stati Uniti a fine settembre e il tema sarà sicuramente sollevato da Obama. In prospettiva, c’è da chiedersi se la decisione di oggi avvicina Pechino alla tanto attesa liberalizzazione del cambio, come sostengono le autorità locali e alcuni analisti, o al contrario è una mossa dirigista che ha l’unico obiettivo di aiutare le aziende esportatrici cinesi.


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