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Anche l'economia giapponese rallenta

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Asia e Oceania

Anche l'economia giapponese rallenta

TOKYO – Mentre gli investitori hanno giudicato le manovre di svalutazione a Pechino come la conferma di un rallentamento dell'economia cinese superiore alle previsioni, anche la terza economia mondiale dà chiare indicazioni di frenata. Il Prodotto interno lordo giapponese del secondo trimestre, che sarà annunciato lunedì prossimo, secondo la maggior parte delle previsioni degli analisti tornerà a manifestare una contrazione, dopo la buona performance dei primi tre mesi dell'anno.

Oggi è arrivato un altro segnale di tendenziale debolezza degli investimenti di capitale: a giugno gli ordini “core” di macchinari sono scesi del 7,9% rispetto al mese precedente, anche se risultano in aumento del 16,6% su un anno prima. Nel secondo trimestre, comunque, gli ordinativi sono in crescita del 2,9 per cento.

Un autorevole consigliere del premier, Etsuro Honda, ha dichiarato che se i dati sul Pil saranno deludenti, occorrerà introdurre una nuova manovra di stimolo da circa 3mila miliardi di yen, equivalenti a circa 24 miliardi di dollari. Vari analisti ritengono altresì che la Banca del Giappone dovrà procedere a ulteriori allentamenti della già ultraespansiva politica monetaria se l'effetto Cina (svalutazione dello yuan, ulteriori pressioni al ribasso sui prezzi delle materie prime) dovessero rafforzare le tendenze deflazionistiche che sono riemerse.

Di sicuro le mosse cinesi amplificano i dilemmi della banca centrale giapponese, che - con la crescente sensazione di stallo dell'Abenomics - si troverà sempre più sotto pressione per introdurre nuovi stimoli monetari all'economia nipponica. A quasi due anni e mezzo dall'introduzione della politica ultraespansiva di “allentamento quantitativo e qualitativo” (tra l'altro accusata da alcuni di aver dato lo spunto al tema delle “guerre valutarie” rilanciato in questi giorni da Pechino), la Banca del Giappone si trova davanti a una inflazione “core” tornata vicino allo zero anziché prossima al target ufficiale del 2 per cento. «Un renminbi più debole potrebbe portare la BoJ a varare ulteriori stimoli, in relazione all'inflazione troppo bassa e al fatto che il 2,7% del Pil giapponese è esportato verso la Cina», osserva Andrew Garthwaite del Credit Suisse.

Pechino rischia di esportare deflazione al di là delle pure dinamiche valutarie: molti investitori hanno preso le ultime mosse cinesi come un chiaro segnale di consapevolezza ufficiale di un forte rallentamento della crescita, il che di riflesso sta provocando una fuga dagli asset di rischio che penalizza in particolare le materie prime. La BoJ ha già invocato la comoda scusa del calo dei prezzi petroliferi per giustificare un rinvio del raggiungimento del target sull'inflazione introdotto nel 2013, ma è difficile che possa permettersi un ritorno sottozero dell'indice dei prezzi senza perdere la faccia (il governatore Kuroda ha promesso di fare “whatever it takes” in senso reflazionista).

La stessa industria giapponese in genere non vede con favore un ulteriore deprezzamento. Se però la BoJ dovesse allentare ancora la sua politica in contemporanea con il previsto avvio in autunno della manovra di rialzo dei tassi americani, la divisa nipponica potrebbe precipitare oltre quanto desiderabile. Così gli analisti di Nomura Securities ritengono che la banca centrale nipponica agirà non prima dell'aprile dell'anno prossimo. Ad ogni modo, il report di Nomura sottolinea che gli effetti sull'economia giapponese dovrebbero restare limitati se lo yuan non dovesse deprezzarsi di più (si era del resto apprezzato da inizio anno). Tutt'altra musica in caso contrario: «Un ulteriore deprezzamento dello yuan sarebbe una cattiva notizia per gli esportatori giapponesi, che hanno una relazione competitiva con operatori cinesi (verso mercati terzi)». Non solo: a soffrire sarebbero anche le aziende con alta esposizione all'ondata in corso di turisti cinesi in Giappone, che sono anche il gruppo straniero che più spende in media quando si trova in vacanza. Così anche Nomura preferisce consigliare ai propri clienti di trovare rifugio momentaneo in titoli dipendenti dalla domanda interna, in quanto, pur ritenendo modesto il rischio di una frana del Nikkei, sul breve termine la svalutazione dello yuan pone pressioni ribassiste sul mercato nel quadro di una più generale riduzione della propensione all'investimento verso asset di rischio. Secondo Junichi Makino, capo economista a SMBC Nikko Securities, va comunque considerato che le esportazioni dal Giappone alla Cina e dalle affiliate nipponiche in Cina verso il resto del mondo sono denominate in yen o dollari, senza quindi un diretto legame con il valore dello yuan.

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