NEW YORK - I vertici della Federal Reserve giocano a carte coperte la partita sul rialzo dei tassi d’interesse americani. E si sforzano di assicurare mercati dai nervi scoperti che procederanno esaminando con attenzione i dati economici e tenendo conto del rischio di shock dal palcoscenico internazionale, in particolare dalla Cina.
I verbali dell’ultimo vertice di fine luglio - offrendo sostegno a Wall Street, che ha ridotto nel pomeriggio le perdite sofferte nella prima parte della seduta - mostrano che i vertici della Banca centrale non sono certi se far scattare senza indugi il grilletto della prima stretta di politica monetaria dal 2006, fin da settembre. Oppure se aspettare dicembre, in omaggio alle ombre che tuttora gravano sulla ripresa.
In un passaggio chiave delle deliberazioni, gli esponenti della maggioranza hanno concluso che «le condizioni per una stretta non erano state raggiunte, ma si stavano avvicinando». Principale caveat: «Alcuni governatori hanno notato come le informazioni in arrivo non convincano che l’inflazione sia diretta nel medio periodo verso il target del 2%» e che quindi «l’outlook non dovrebbe nel prossimo futuro rispettare una delle condizioni indicate per una stretta».
Nell’ultimo vertice la Fed aveva emesso un comunicato che sottolineava come per un rialzo attendesse conferme di un’inflazione avviata «con ragionevole certezza» a tornare verso il target. Oltre ad «alcuni ulteriori miglioramenti» nel mercato del lavoro. Su entrambi i fronti sono affiorati segnali, ma è parso difficile considerarli davvero adeguati. Ieri i prezzi al consumo sono lievitati di un magro 0,1% a luglio.
Nel frattempo, inoltre, le tensioni internazionali con le loro potenziali ripercussioni si sono aggravate, anzitutto con i timori per l’economia della Cina. Un aspetto esaminato dalla Fed: il timore esplicito è che non abbia a disposizione al momento strumenti efficaci per contrastare eventuali shock mentre crescono i rischi derivati dagli sviluppi internazionali a cominciare dalle tensioni cinesi.
Contro l’attendismo, tuttavia, si sono sollevate voci che chiedono di rompere ogni indugio sui tassi proprio per iniettare fiducia tra operatori e investitori globali nelle prospettive dell’economia americana. Una fiducia che a loro avviso verrebbe trasmessa da una decisione della Fed di procedere nonostante le incertezze.
Il dibattito imperversa anche fuori dagli ambiti istituzionali della Fed. Un rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti sarebbe un errore perché «creerebbe rischi economici profondi per l'economia Usa», ha dichiarato pubblicamente Narayana Kocherlakota, governatore della sede di Minneapolis in un articolo sul Wall Street Journal. Kocherlakota - che pur non votando partecipa alle riunioni del vertice della Fed ed è considerato una colomba sui tassi - insiste che «non è il momento» per un aumento del costo del denaro dagli attuali livelli vicini allo zero. «Una stretta monetaria quando l’inflazione è così bassa rappresenta un passo nella direzione sbagliata», ha scritto sottolineando che «se la Fed alza i tassi mentre l’inflazione è nettamente sotto il target, i partecipanti al mercato e il pubblico potrebbero concludere che ha implicitamente abbassato l’obiettivo d’inflazione». Un elemento che «pone due rischi seri», di breve e lungo termine. Anzitutto una spinta al rialzo dei tassi d’interesse reali, danneggiando la domanda di credito e rafforzando il dollaro con la conseguenza di rendere meno competitivi i prodotti statunitensi. In secondo luogo rischierebbe danni alla credibilità stessa della Banca centrale e dei suoi obiettivi dichiarati, indebolendone la capacita' di combattere future recessioni.