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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2015 alle ore 06:35.
L'ultima modifica è del 21 agosto 2015 alle ore 07:46.

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Prima che la polvere dei sette mesi di scontro furioso con Bruxelles e i creditori si posi, Tsipras ha deciso di andare al voto anticipato. Dopo aver pagato i debiti con la Bce che scadevano proprio ieri, il premier greco ha deciso di saltare il voto di fiducia in Parlamento e convocare elezioni anticipate per mettere fine alla ribellione dei 43 deputati di Piattaforma di sinistra, l’ala intransigente del suo partito, Syriza, e trovare sostegno sufficiente alla realizzazione del programma di salvataggio senza di loro.

Tsipras ha preferito giocare d’anticipo per evitare di avere a che fare con elettori che in autunno avranno sentito sulla pelle gli effetti dell’austerity, con gli aumenti dell’Iva e la fine delle baby-pensioni.

Una mossa azzardata da parte di chi in sette mesi ha fatto cadere un governo da partito d’opposizione e ne fa cadere un’altro come leader del partito di maggioranza? Forse, ma Tsipras ha dimostrato a luglio con il ricorso al referendum, quando aveva tutti i maggiori partiti greci contrari, l’opposizione dei creditori e delle maggiori testate europee, di saper fiutare il vento meglio di molti altri politici navigati.

Ha il vantaggio di essere estraneo al mondo politico precedente dominato da Nea Dimokratia e Pasok per quarant’anni e vuole mantenere intatta questa carica di diversità, prima che gli elettori si pongano domande più profonde sulle sue reali capacità di cambiamento. Non vuole farsi logorare. I suoi avversari, come Nea Dimokratia e il Pasok, sono partiti in transizione senza una chiara meta e soprattutto senza leader carismatici. Nemmeno i liberali di “To Potami” sembrano aver fatto breccia in Parlamento.

Quanto ai ribelli di Syriza, puntando sull’uscita dall’euro e al ritorno alla dracma, non otterranno che un voto marginale. Forte delle contraddizioni interne dei suoi concorrenti e del fatto che nonostante i gravi errori tattici e perfino dilettanteschi nella conduzione di sette mesi di trattative con la troika, ha saputo fare ammenda e raddrizzare la barra prima di cadere nel precipizio.

Tsipras ha preso atto che la sua maggioranza si è liquefatta durante le tre votazioni del terzo piano di salvataggio. La “capriola” che ha fatto dopo il referendum del 5 luglio non ha scalfito la sua popolarità.

Ora Tsipras con Panagiotis Lafazanis, il leader dei ribelli di Syriza, alla sua sinistra e i partiti pro-europei alla sua destra, si pone al centro dello spettro politico e può chiedere all’elettorato di votarlo per cercare di applicare un Memorandum che tutti sanno che, senza una riduzione del debito, non riuscirà a salvare davvero la Grecia.

Come scriveva il quotidiano tedesco Die Welt, Bruxelles e la troika hanno cercato invano di spazzare via Tsipras ma non ci sono riusciti. Il leader greco si è piegato all’ultimo momento licenziando Yanis Varoufakis e accettando tutte le 27 pagine e le 35 azioni “prioritarie” del piano di aiuti in cambio dei finanziamenti.

Il miglior alleato di Tsipras sarà l’Fmi di Christine Lagarde che a ottobre chiederà di rendere sostenibile il debito greco una volta per tutte ed Alexis Tsipras vuole essere lì a trattare il gran finale di una lunga partita sulla crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona iniziata nell’ottobre 2009, quando George Papandreou vinse le elezioni e scoprì che il deficit era alle stelle, al 15,7% e non al 3,4 per cento. Se si fosse ridotto il debito greco nel 2010 come chiedeva l’allora direttore generale dell’Fmi, Dominique Strauss-Kahn, non saremmo ancora a parlare di salvataggi greci, ma Sarkozy e la Merkel presero tempo per dare tempo alle banche franco-tedesche, piene di bond greci, di salvarsi vendendo a piene mani mentre l’Smp della Bce acquistava. Fu un grave errore le cui conseguenze continuiamo a pagare tutti in Europa.

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