LONDRA - E' ufficiale: l'immigrazione in Gran Bretagna ha raggiunto i massimi storici. Secondo dati resi noti stamattina dall'Ufficio nazionale di statistica (Ons), nell'ultimo anno l'immigrazione netta ha raggiunto quota 330mila, superando di diecimila unità il precedente record di 320mila registrato nel 2005 subito dopo l'ingresso della Polonia e altri Paesi dell'Europa orientale nella Ue.
Il primo ministro David Cameron aveva promesso “senza forse e senza ma” di ridurre il numero di immigrati a “qualche decina di migliaia” all'anno. Stamani il sottosegretario all'Immigrazione James Brokenshire ha definito “molto deludenti” i nuovi dati.
Secondo i dati Ons gli immigrati sono stati 636mila nell'ultimo anno finanziario (che va dal marzo 2014 al marzo 2015), un aumento di 84mila persone, 56mila delle quali sono arrivate dall'Unione Europea e 39mila da fuori. Il numero di bulgari e romeni arrivati in Gran Bretagna è raddoppiato a 53mila unità. Nel frattempo è calata l'emigrazione: il numero di persone che hanno lasciato il Regno Unito per trasferirsi all'estero è sceso di novemila unità.
L'Ons ha anche rivelato che il numero di persone nate all'estero e ora residenti in Gran Bretagna ha superato per la prima volta quota 8 milioni, 3 milioni dei quali hanno ottenuto la cittadinanza britannica. L'impatto della crisi di quest'estate a Calais, dove migliaia di immigrati hanno tentato in tutti i modi di attraversare la Manica e raggiungere la Gran Bretagna, è stato molto forte. L'immigrazione, secondo un sondaggio di Ipsos Mori, è la questione che più preoccupa gli elettori britannici.
Intanto l'Institute of Directors (IoD), che rappresenta i dirigenti d'impresa, ha aspramente criticato la politica del Governo sull'immigrazione e in particolare l'imposizione di rigide quote all'immigrazione extra-Ue che “limita le imprese e danneggia l'economia”. Il successo della Gran Bretagna, secondo l'IoD, è basato sul fatto che è un'economia aperta e scelte “controproducenti e di breve termine” richiano di danneggiarla. Brokenshire ha ribattuto che “le imprese britanniche contano ancora troppo sui lavoratori stranieri. In questo settore bisogna fare molto di più.”
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