Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2015 alle ore 06:35.
L'ultima modifica è del 29 agosto 2015 alle ore 08:51.

My24

JACKSON HOLE

La conferenza stampa è informale, sul prato adiacente l’edificio che ospita l’annuale Simposio internazionale della Federal Reserve. Ma il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz e il centinaio di rappresentanti di associazioni liberal radunati qui hanno un messaggio che sperano sia ascoltato dai banchieri centrali da ieri riuniti dentro le sale della Jackson Lake Lodge. Fin dal titolo dell’iniziativa: Fed Up. Un gioco di parole, tra il nome della Banca centrale e il grido «siamo stufi». La richiesta alla Fed, sostenuta da una petizione con 190mila firme, è più precisa di un’invettiva: che non alzi i tassi di interesse perché quello di cui sono stufi è una ripresa che, dicono, ha ancora bisogno di molto aiuto. Che resta diseguale ed emargina le comunità meno abbienti, i ceti bassi e medi, le minoranze etniche. Affiancato da un altro economista progressista, Brad DeLong, Stiglitz articola la richiesta: anche modeste strette minacciano oggi di fare danni alla crescita, esacerbata dalle tensioni esplose sui mercati. Auspica che la Fed adotti un target d’inflazione ben più alto del 2% attuale, tra il 2% il 4%, per stimolare l’espansione, perché oggi «non esistono rischi di iper-inflazione e ci sono invece 11 milioni di lavoratori scoraggiati e salari stagnanti». La politica ultra-accomodante della Fed, dunque, resta necessaria e dovrebbe essere semmai coadiuvata da robusti stimoli sul fronte fiscale.

L’iniziativa non è isolata. Ha un contraltare: think tank conservatori hanno a loro volta organizzato un convegno nelle vicinanze per incitare, al contrario, la Fed cambiare al al più presto la sua politica. Che, accusano, distorce pericolosamente il libero mercato e crea ormai solo più squilibri finanziari. Voci e polemiche esterne, se per la Fed non sono una novità, questa volta rispecchiano però anche una battaglia intestina. La Fed è parsa pronta ad avviare una normalizzazione graduale della politica monetaria, ma assai meno certa è su quando sia davvero il momento di farla scattare. Quanto siano davvero robusti i dati economici - segnali incoraggianti ma non definitivi sono giunti ieri dal Pil del secondo trimestre - e soprattutto quanto possano protrarsi e pesare la volatilità delle piazze finanziarie e le scosse in arrivo dall’economia cinese e dai Paesi emergenti.

Il Simposio doveva essere un meeting senza traumi. È organizzato attorno a un tema accademico, se pur di attualità: le dinamiche inflazionistiche, finora deludenti per una ripresa sana. Doveva dunque servire a discutere un approccio soft alla prossima stretta, fosse a settembre o più in là. Una scelta in linea con la nuova strategia di comunicazione di Janet Yellen: al contrario dei predecessori Ben Bernanke e Alan Greenspan, che avevano usato Jackson Hole per sorprendere gli investitori anticipando mosse future, Yellen preferisce riportare le decisioni, per trasparenza e chiarezza, dentro le sedi istituzionali. Di qui la sua assenza programmata dal Wyoming, assieme ad altri esponenti di spicco quali Daniel Tarullo (forse solo la metà dei membri Fomc sarà a Jackson Hole).

Lo spettro di una nuova crisi ha invece dato improvvisa urgenza alle prese di posizione attorno al Simposio per gestire la nuova fase di incertezza. C’è il vice di Yellen, Stanley Fischer, ed Esther George, il responsabile della sede di Kansas City. A fianco banchieri centrali europei, da Vitor Constancio per la Bce a Thomas Jordan della Banca nazionale della Svizzera e a Mark Carney della Bank of England, fino a governatori di istituti centrali dal Cile all’India. A fianco di accademici e personalità, quali Jacob Frenkel, ex governatore della Bank of Israel e presidente di Jp Morgan Chase International.

Il tono di urgenza nel calibrare le dichiarazioni è affiorato ieri dalle parole di Esther George, sotto i cui auspici ha luogo il Simposio nel parco nazionale del Teton: «Quando i mercati si muovono bisogna essere particolarmente attenti, capire se è un segnale di qualcosa di profondo o una forma di aggiustamento. Gli eventi dell’ultima settimana complicano il quadro. Ma è presto per dire che lo cambino in modo fondamentale. Il processo di normalizzazione, credo, deve cominciare al più presto». George ha sottolineato come la politica della Fed abbia influenzato i prezzi degli asset, e che una certa volatilità era prevista. Poche ore prima William Dudley della sede di New York aveva indicato che le ragioni di una stretta a settembre sono meno solide, ma aveva aggiunto di auspicarla entro l’anno. George e Dudley sono in due campi opposti dentro la Fed, falchi e colombe. Le loro dichiarazioni sono però paradossalmente simili. Entrambi, come l’intero simposio di Jackson Hole, devono risolvere urgenti dilemmi. Sotto gli occhi dei mercati, di Stiglitz e dei 190mila firmatari della sua petizione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi