Angela Merkel è diventata anche la mamma dei migranti siriani. Da quando il cancelliere tedesco ha rivolto un invito quasi messianico all’umanità in fuga dalla guerra, la pressione alle porte della Mitteleuropa è cresciuta a dismisura: in pochi giorni le stazioni dei “treni strettamente sorvegliati” sono state messe a dura prova.«Merkel! Merkel!» inneggiavano i richiedenti asilo bloccati a Budapest con la speranza di poter raggiungere la nuova terra promessa: la Germania.
Un bel salto di qualità, spazio-temporale, per un Paese che soltanto nel 2001 aveva riconosciuto ufficialmente di essere una terra di immigrazione dotandosi per la prima volta di una legge organica in materia. La politica dei Gastarbeiter, i lavoratori ospiti, era frutto di accordi bilaterali con i governi – i più importanti con quello turco e italiano - e aveva lo scopo di attirare la manodopera necessaria ad alimentare le grandi fabbriche tedesche e quindi il boom economico legato alla ricostruzione. Angela Merkel esibisce oggi senza complessi e senza l’ipocrisia di alcuni dei suoi predecessori uno status che non necessariamente piace alla maggioranza dell’opinione pubblica tedesca. La Germania, ha detto, è un Einwanderungsland, un Paese d’immigrazione, memore non solo dei lavoratori ospiti ma anche dei rifugiati che negli anni 90 arrivarono dai Balcani in guerra: anche allora, centinaia di migliaia.
L'accoglienza, al netto della solidarietà proclamata, non è mai puro disinteresse e forse non è necessario che lo sia. La disponibilità dichiarata nei confronti dei profughi siriani tiene conto probabilmente anche dei fattori economici e demografici, che sono variabili storiche, e imprescindibili, dei grandi flussi migratori. La Germania dei tedeschi è il Paese più vecchio d'Europa e il mondo imprenditoriale è sempre stato favorevole ad afflussi coordinati e regolati per far fronte alla carenza di manodopera in molti settori dell'industria. Come nel passato più o meno recente, per Berlino avere una politica di immigrazione significa anche poter scegliere o quantomeno favorire determinati flussi. Quello siriano evidentemente coincide con determinati interessi nazionali e non è cosa che debba scandalizzare, anzi.
La disponibilità tedesca ad accogliere quest'anno fino a 800mila richiedenti asilo – il quadruplo rispetto al 2014 – è una novità dirompente negli equilibri geopolitici e territoriali dell'Europa e non a caso è avversata con forza dagli “amici” dell'Est, Ungheria, ma anche Polonia e Slovacchia. Forza la mano verso l'abbandono del Principio di Dublino più di quanto non abbia fatto, finora, il piano elaborato dalla Commissione. E forza la mano a un principio di solidarietà condivisa che è alla base di un'equa distribuzione dei migranti sul territorio europeo. Se si scopre, poi, che non esiste più un solo epicentro Mediterraneo nella crisi migratoria che rischia di travolgere l'Europa, ma vi sono decine di epicentri e che molti di questi sono nella zona d'influenza tedesca, allora potrebbe essere l'inizio - solo l'inizio, per ora – di un cambiamento epocale. La svolta della Germania, forse solo casualmente, diventa una sponda utile per attenuare le pressioni nei confronti dell'Italia anche se, purtroppo, si resta a una visione tedesco-centrica dell'Europa: problema tedesco uguale a problema europeo, allora va risolto.