Mondo

Bce pronta a fare di più (a parole)

  • Abbonati
  • Accedi
L’ANALISI

Bce pronta a fare di più (a parole)

Perché non è stato fatto di più? Il presidente Mario Draghi è stato chiaro: la Bce è davvero pronta a rendere la propria politica monetaria più espansiva. L’euro, termometro sensibilissimo, non a caso ha perso terreno. C’erano però tutti gli elementi per intervenire subito, ma la Bce non solo non lo ha fatto ma - ha rivelato Draghi - non ha neanche discusso questa opportunità.

La Bce ha creato aspettative precise: faremo davvero di più, se necessario. Non è un messaggio nuovo, ma questa volta il linguaggio è più enfatico. Finora, il comunicato della Bce spiegava che il quantitative easing, gli acquisti di titoli, sarebbero durati fino a settembre 2016 e, «in ogni caso, fino a che non vedremo un aggiustamento sostenuto nell’andamento dell’inflazione». Era una formulazione formalmente simmetrica, nel senso che si sarebbe potuto in astratto immaginare anche una chiusura anticipata, anche se il contesto rendeva del tutto improbabile questa interpretazione. Oggi invece la Bce ha precisato che il piano durerà «fino a settembre 2016 o oltre, se necessario». Un’aggiunta retoricamente, anche se non logicamente, significativa.

Persino la piccola modifica al quantitative easing, dal sapore tecnico, è stata interpretata dallo stesso Draghi come un «segnale». Finora la Bce si era vincolata negli acquisti includendo un limite del 25% per ogni emissione. Questo limite è stato portato al 33% in tutti i casi in cui la Bce non rischi di assumere il ruolo di una minoranza di blocco, come potrebbe accadere per alcune obbligazioni private. Draghi non è entrato nei dettagli di questa decisione, spiegando solo che si tratta di rendere più completa e senza ostacoli la realizzazione del quantitative easing; ha insistito però nel considerare il segno del fatto che la Bce è pronta a rivedere la politica monetaria. Il presidente non ha neanche voluto ripetere che l’attuale livello dei tassi è il minimo possibile, limitandosi a dire che «non si è discusso» di questo aspetto durante la riunione del board.

Questo nuovo linguaggio della Bce ha un motivo preciso: le turbolenze sui mercati, compresa la flessione del petrolio. «Gli attuali sviluppi nelle economie emergenti hanno la potenzialità di colpire ulteriormente e negativamente la crescita globale attraverso il commercio internazionale e la fiducia», ha precisato il comunicato parlando dei rischi sulla crescita, aggiungendo ai fattori che saranno «controllati da vicino» dal consiglio direttivo, per i loro effetti sulla dinamica dei prezzi, anche l’andamento dell’economia globale, dei mercati finanziari e dei prezzi di tutte le materie prime (e non soltanto del greggio).

Draghi ha spiegato che alcuni di questi fattori sono probabilmente transitori. Anche il calo del greggio che ora potrebbe portare «a vedere numeri negativi» sull’inflazione. La necessità di valutare se e quanto questi fenomeni siano davvero temporanei - il petrolio era previsto da tempo in rialzo, mentre continua a calare - può spiegare il desiderio della Bce di lanciare solo un messaggio invece di intervenire subito.

Un altro elemento, però, consentirebbe di argomentare altrimenti: le previsioni dello staff. Sono state realizzate tenendo conto dell’andamento dei mercati fino al 12 agosto. Fino quindi al giorno dopo dell’avvio del nuovo regime valutario cinese, prima delle ulteriori turbolenze. Anche così, lo staff della Bce prevede una crescita rallentata per 2015, 2016, e 2017; e soprattutto un’inflazione del solo 0,1% quest’anno (dallo 0,3%), dell’1,1% nel 2016 (dall’1,5%) e dell’1,7% per il 2017 (dall’1,8%), con un’inflazione di fondo, core, dell’1,6% (dall’1,7%).

Si può davvero - e la domanda non è per nulla retorica - pensare che l’attuale politica monetaria sia sufficiente a raggiungere nel medio termine - che generalmente è pari a due anni - l’obiettivo di portare la dinamica dei prezzi al di sotto ma vicino al 2%?
Nessun altro elemento “interno” a Eurolandia permette di capire perché la Bce abbia deciso di aspettare. La soluzione, allora, è altrove, nel contesto internazionale.

L’andamento dell’euro come quello degli altri mercati internazionali - comprese le materie prime - dipenderà molto da due fattori. Il primo: cosa deciderà il 17 settembre la Federal reserve? È già abbastanza chiaro che la “stretta” sarà più graduale di quanto si sia previsto fino a qualche giorno fa. Comincerà davvero questo mese, oppure si aspetterà ancora?
La seconda è più importante, perché la risposta non è scontata: cosa farà la Cina per contrastare il rallentamento dell’economia e le tensioni sulle Borse. Venendo un po’ meno al principio di non commentare quanto accade in «altre giurisdizioni», Draghi ha chiaramente spiegato che la Bce si aspetta «di avere maggiore visibilità» su cosa farà Pechino, aggiungendo che questo «sarà uno dei temi più importanti degli incontri» del G-20 di Ankara. Solo dopo la Bce potrà prendere le sue misure.

© Riproduzione riservata